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Cucina mon amour
10 Maggio 2024 - 23:54
Mussolini e la pasta
Esiste un grande piatto che più di tutti identifica la cucina italiana: la pasta. Dal nord al sud, alle isole, qualsiasi cucina casalinga e qualsiasi ristorante della nostra penisola ha negli scaffali innumerevoli pacchi di pasta. Corta, lunga, liscia, trafilata al bronzo, senza glutine, ormai esistono tantissimi formati di pasta che soddisfano i gusti di chiunque. E che drammi quando è ora di scegliere che tipo di pasta utilizzare: a casa mia era sempre una battaglia tra mio padre che voleva spaghetti, mia madre le pasta liscia e io i fusilli, si finiva sempre per scontentare qualcuno.
Ormai siamo abituati anche a scegliere il formato di pasta che meglio si abbina al sugo o al condimento che prepariamo. Ma non è sempre stato così, anzi, l'idea che oggi abbiamo della pasta è estremamente moderna, è solo con il secondo dopoguerra e l'arrivo del boom economico che il fenomeno della pasta esplode in tutta Italia.
Torniamo un po' indietro nel tempo.
Gli storici sostengono che quella che potremmo definire una protopasta risalga al III-VI secolo quando i popoli della Mesopotamia iniziarono a stendere l'impasto del pane con il mattarello, creando così uno strato molto sottile, tagliato poi in svariate forme. La pratica di stendere l'impasto arriva poi nel mondo greco e romano. Il termine latino era "lagana", che sì effettivamente ricorda il termine "lasagna", ma oltre ad indicare lo strato sottile poteva anche indicare il pane piatto, tipo azzimo.
Fu poi nel Medioevo e contestualmente con la dominazione araba in Sicilia che in Italia si registrano due grandi avvenimenti relativamente alla pasta. Il primo evento avviene all'interno delle grandi corti, ed è la comparsa della pasta ripiena, che si rifaceva alla tradizione delle torte ripiene (da qui la parola "tortellino") ed era riservata per secoli solo ai ricchi o agli allevatori di bestiame nei giorni di festa. La carne era un bene preziosissimo, si poteva trovare solo negli sfarzosi banchetti o, appunto, solo per chi aveva il bestiame e aveva a disposizione la carne avanzata dalla preparazione del brodo.
Attenzione perché ci riferiamo alla carne, ma rigorosamente carne bianca o di animali da cortile, pensate che il primo ripieno attestato dei tortellini era di pollo. La seconda grande rivoluzione avviene in Sicilia per influenza araba ed è l'essiccazione della pasta. Rimarrà un fenomeno circoscritto solo in Sicilia e resisterà ancora fino alla dominazione normanna, poi la pasta fresca prende il sopravvento su quella essiccata, però è interessante scoprire che a metà del 1100 è documentata la prima "fabbrica" della storia della pasta secca.
Il consumo di pasta fresca trova poi la sua massima espressione a Napoli, dove 1450 viene coniato il termine "macharone" per identificare la pasta lunga e sottile, che si differenziava dalla pasta siciliana per cui si utilizzava lo "spagho" come strumento per bucare la pasta. Maccheroni infatti rimarrà per secoli il termine per indicare la pasta tipo spaghetti, mentre il termine spaghetti per indicare proprio il formato spaghetti entrerà nel linguaggio molto più tardi. Avete presente la famosa scena di "Un americano a Roma" del 1954 in cui Alberto Sordi addenta voracemente un piatto di spaghetti pronunciando la celeberrima frase "maccarone m'hai provocato, mo' te distruggo, me te magno"? Se ci pensate lo chiama ancora maccherone, non spaghetti, eppure quelli che mangia sono spaghetti.
Scena del film "Un americano a Roma" del 1954
Solo a partire dal 1600 si espande su larga scala il consumo di pasta a Napoli, diventa il cibo del popolo che la consuma per strada mangiandola con le mani come un vero e proprio street food. La produzione costava davvero poco, per questo motivo era considerato il mangiare della povera gente che in maniera dispregiativa veniva chiamata "mangiamaccheroni". Ma come veniva condita la pasta? Sostanzialmente con nulla, sicuramente non con l'olio che era caro, né con il parmigiano o con il burro che a Napoli difficilmente riuscivano ad arrivare; tantomeno con il pomodoro che dal suo arrivo in Europa nel 1500 e almeno fino alla fine del 1700 era considerato una pianta ornamentale assolutamente da non mangiare, anzi i medici lo ritenevano tossico. Nel 1807 un ricettario napoletano descrive una ricetta con la conserva di pomodoro, ma la fruizione di questo condimento era unicamente per gli aristocratici.
Il popolo inizia però a mangiare i macharoni col cacio. La giornalista napoletana Matilde Serao scriverà nel 1884 che a Napoli iniziano a nascere le prime osterie dove "i maccheroni bollono col sugo di pomodoro e montagne di cacio grattato". Anche Pellegrino Artusi ne "La scienza in cucina e l'arte del mangiar bene" scrive di questi maccheroni conditi con pomodoro e cacio, ma si rivolge ad un pubblico colto e ricco perché nel 1891 davvero pochi italiani sapevano leggere e ancor meno potevano permettersi di acquistare manuali di cucina. Intanto nel nord Italia non si registra il consumo di pasta, se non quella ripiena e comunque solo in poche occasioni di festa, per il resto al nord si consumano polenta e verdure.
C'è però un momento nella storia in cui il nord e il sud si incontrano e, paradossalmente, è dall'altra parte dell'Oceano. Con il grande fenomeno dell'emigrazione in America, gli italiani si trovano ghettizzati nei quartieri a loro dedicati e qui le comunità delle Little Italy di tutta l'America iniziano a cucinare insieme la pasta per ricordarsi della terra che hanno abbandonato. Gli italiani che poi hanno deciso di tornare in patria hanno portato con sé la tradizione della pasta, ed è così che agli inizi del 1900 la cultura dei maccheroni si espande lungo tutta la penisola.
Ma la gioia di aver scoperto di avere qualcosa che accomuni tutta la penisola dura poco. Durante il tragico ventennio fascista la pasta viene bandita, nei suoi discorsi Mussolini la reputa una roba da americani che rammollisce, sostiene che la pasta renda deboli perché è pesante da digerire e fa venire sonno, quando invece gli italiani dovrebbero avere uno spirito combattivo.
A rafforzare le tesi fasciste sull'abolizione della pasta intervengono anche i poeti futuristi che pubblicano un manifesto "Contro la pastasciutta".
Veniva invece promosso il consumo di riso, perché considerato più frugale e leggero rispetto ad un piatto di pasta. Come reazione al divieto del consumo della pasta, nel 1943 con la destituzione di Mussolini e la nascita del governo di Badoglio, in un paesino della campagna emiliana la famiglia Cervi decise di preparare gratuitamente per tutto il paese una pasta con parmigiano e burro per festeggiare la fine del ventennio. Questo piatto viene ricordato ancora oggi come la pastasciutta antifascista.
Ci vorrà poi il boom economico degli anni '60 e l'industrializzazione perché la pasta venga consumata prima col sugo delle conserve, poi con qualsiasi altro condimento che conosciamo oggi. La creazione delle forme meccaniche danno vita anche ai diversi formati che oggi troviamo tra gli scaffali.
Insomma, una storia piuttosto travagliata quella della pasta in Italia: da alimento per pochi aristocratici a cibo per i poveri, la pasta oggi è diventata il simbolo della nostra cucina nel mondo.
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