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Dossier Nucleare

Trino Vercellese e le radici dell'energia nucleare in Italia

Lo sviluppo dell’industria nucleare in Piemonte

Lo sviluppo dell’industria nucleare sul territorio Piemontese

Il reattore della SORIN di Saluggia

Nel 1983, il testo della celebre hit «Vamos a la playa» raccontava del rischio di un conflitto nucleare, amplificato dall’uscita nelle sale cinematografiche del film «The day after». Il 26 aprile 1986 a Cernobyl avvenne il default della centrale che spinse il vento radioattivo sino in Italia: i dati scientifici documentarono la presenza di radionuclidi in diverse aree del nostro paese, tanto che le autorità dovettero vietare il consumo di alimenti a rischio, quali latte ed insalata.

Il dibattito sul nucleare si è riacceso recentemente, poiché è in corso l’iter di localizzazione del sito idoneo ad ospitare il Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi e tra le aree individuate c’è anche una parte di territorio canavesano della superficie di 515 ettari, ricompreso nei territori comunali di Caluso, Mazzè e Rondissone.

L’occasione è favorevole per disegnare una breve percorso storico sullo sviluppo delle industrie nucleari sul nostro territorio. La maggior concentrazione di siti era nella pianura vercellese in quanto «a mezza strada circa fra Torino e Milano, non molto lontano dal baricentro del famoso triangolo industriale: una collocazione propizia», come spiegava La Stampa del 23 giugno 1964.

La centrale nucleare Enrico Fermi di Trino Vercellese, uno dei quattro impianti italiani progettati per la produzione di energia elettrica, fu costruita su iniziativa della Società Elettronucleare Italiana S.p.A., fondata a Roma nel 1955 e partecipata da soggetti privati quali Edison Volta, Società Adriatica di Elettricità, Società Romana di Elettricità, SELT-Valdarno, Società Generale Elettrica della Sicilia e pubblici quali Società Meridionale di Elettricità, Società Idroelettrica Piemonte, AST e Società Trentina di Elettricità.

Nel 1956 Finelettrica S.p.A., società statale controllata dall'IRI, ne acquisì il 15% delle quote. Nello stesso anno fu sottoscritto con Westinghouse Electric Company un accordo per la fornitura di un reattore a uranio a basso arricchimento, raffreddato e moderato con acqua leggera pressurizzata (PWR) con una potenza complessiva di 870 MW termici e 272 MW elettrici. Il cronista Didimo, pseudonimo di Rinaldo De Benedetti, ne descriveva in modo semplice ma comprensibile il funzionamento su La Stampa del 17 novembre 1964: «In una centrale nucleare, l'elettricità viene prodotta tramite una catena di eventi che, nel caso specifico, è la seguente: l'intensa ma regolabile tempesta di fissioni nell'uranio del reattore produce calore (in misura senza confronto maggiore di quel che sarebbe prodotto da un ugual peso di combustibile ordinario); l'acqua, in cui l'uranio è immerso, si riscalda e si muterebbe in vapore se non fosse tenuta sotto pressione in una caldaia di eccezionale robustezza; quest'acqua è mandata, con pompe, a trasmettere una parte del suo calore a un altro circuito, contenente altra acqua, la quale ne viene vaporizzata; il vapore così prodotto (in pieno esercizio, sono 1500 tonnellate di vapore all'ora) dà moto alle turbine, e queste mettono in rotazione gli alternatori, che sono appunto le macchine che producono la corrente elettrica».

La costruzione della centrale iniziò il 1º luglio 1961 in un’ampia area sulle rive del fiume Po; l'entrata in servizio commerciale avvenne a partire dal 1º gennaio 1965. Il costo complessivo, calcolato in circa 40 miliardi di lire, fu coperto per il 50% dall’agenzia statunitense Export Import Bank e per l’altro 50% da capitali pubblici italiani. A seguito della nazionalizzazione dell'energia elettrica stabilita dalla Legge n. 1643/1962, la proprietà della centrale fu trasferita all'Enel. Nel 1986, dopo l’incidente di Cernobyl, il Partito Radicale propose tre quesiti referendari abrogativi inerenti le norme sulla localizzazione delle centrali nucleari e la vittoria del si ne decretò la chiusura.

La centrale di Trino concluse il suo nono ciclo di combustibile il 21 marzo 1987 e venne messa in custodia protettiva passiva, mantenendone in sicurezza le strutture e gli impianti a tutela della popolazione e dell'ambiente. Nella sua vita la centrale funzionò per 10,6 anni equivalenti, consumò 4,6 tonnellate di uranio producendo 26 TWh di energia elettrica lorda (corrispondenti a 23,8 TWh netti). Nel 1999 l'Enel conferì la proprietà a SOGIN con il mandato di procedere alla sistemazione dei materiali radioattivi presenti nel sito, allo smantellamento della centrale e alla bonifica ambientale dell’area.

Attualmente il sito ospita 1.514 metri cubi di materiali radioattivi, di cui 1.154 a bassissima attività, 316 a bassa attività e 44 a media attività. Lo stop alla produzione dell’energia nucleare fermò anche il progetto della Centrale elettronucleare Trino 2 che avrebbe dovuto funzionare con due reattori PWR da 950 MW ciascuno di potenza elettrica netta; sul sito individuato, nei pressi di Leri Cavour, sorse la Centrale termoelettrica Galileo Ferraris che entrò in funzione nel 1998.

Presso il Centro di ricerca ENEA di Saluggia era situato l’impianto nucleare EUREX (Enriched Uranium Extraction). La costruzione iniziò nel 1965 su di un’ampia area sulle rive della Dora Baltea; l’impianto entrò in funzione nel 1970 e venne utilizzato per il riprocessamento del combustibile nucleare già irraggiato, proveniente da diversi reattori italiani ed europei; l'operazione permetteva, attraverso un adeguato trattamento, di separare e recuperare le materie che potevano essere ancora riutilizzate. Le attività furono interrotte nel 1984. Nel 2003, SOGIN subentrò nella gestione dell’impianto con la finalità di smaltire i materiali radioattivi e bonificare l’area. Nel 2011 furono avviati i lavori per la costruzione di un deposito temporaneo dei rifiuti.

Attualmente il sito ospita 2.873 metri cubi di materiali radioattivi, di cui 1.627 a bassissima attività, 472 a bassa attività e 744 a media attività. Una piccola parte è già stata ricondizionata. Sempre a Saluggia, nella parte di pianura delimitata dalla Dora Baltea, dal Canale Farini e dal Canale Cavour, si trovava il primo impianto nucleare costruito in Italia, denominato Avogadro RS-1. Venne realizzato a partire dal 1959 dalla Società di ricerche Nucleari (SORIN), nata come joint venture tra la Fiat e la Montecatini, ed era utilizzato per effettuare ricerche sperimentali nel campo della fisica nucleare e della tecnologia dei materiali.

Il reattore non fu mai collegato alla rete elettrica nazionale. Terminò la propria attività nel 1971. Nel 1981, Enel ottenne da Fiat la trasformazione dell’impianto in deposito temporaneo per lo stoccaggio di combustibile nucleare irraggiato e furono fatti confluire materiali radioattivi provenienti dalla centrale di Trino e del Garigliano, parte dei quali sono stati trasferiti in Francia per le operazioni di riprocessamento. Nonostante sia SOGIN ad occuparsi dello smantellamento della centrale, la stessa è controllata al 100% dalla Fiat. Il sito ospita pochissimi materiali radioattivi (84 metri cubi a bassa attività e 2 a media attività).

Nella seconda metà degli anni Sessanta, la Fiat orientò le attività dello stabilimento SORIN verso altri settori, quali la produzione di valvole mitraliche, stimolatori cardiaci e radioisotopi per utilizzo medico. Quest’ultima attività terminò nel 1999. Nel 2015 SORIN annunciò la fusione con l’azienda inglese Cyberonics per fondare la LivaNova, il cui settore «cardiac surgery» ha sede negli stabilimenti vercellesi.

I rifiuti attualmente presenti derivano dalle attività di ricerca in campo nucleare, dalla raccolta di rifiuti radioattivi provenienti dalle strutture ospedaliere clienti della SORIN e dalle attività di bonifica in corso. Attualmente il sito ospita 434 metri cubi di materiali radioattivi a bassissima attività, 101 a bassa attività e 12 a media attività.

La produzione di energia nucleare in Italia non superò mai la soglia del 4,5% del totale prodotto. Forse influì l’azione degli Stati Uniti che, con il piano Marshall, non finanziarono l'implementazione del programma nucleare, preferendo indirizzare la politica energetica italiana verso la dipendenza dal petrolio statunitense.

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