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Punto Rosso

Vodafone e "Il mercato degli esuberi"

Questa ennesima ristrutturazione avrebbe potuto essere l’occasione per un accordo innovativo sulla riduzione di orario diffusa a parità di retribuzione

Vodafone e "Il mercato degli esuberi"

Call center

Accordo Vodafone: licenziamenti pagati a peso d’oro (ma sempre licenziamenti rimangono). La formula è sempre la stessa, le multinazionali la conoscono bene: il primo passo è l’annuncio di centinaia di esuberi. Il secondo è quello di “concedere” diverse formule per far uscire “volontariamente” i lavoratori, pagando. Non ci si oppone a discutere di tagli, ma questi vengono assunti come ineluttabili. La contrattazione si basa quindi tutta solo sugli strumenti per lasciare a casa le persone.  

E Vodafone, a riprova del fatto che non è una azienda in crisi, paga profumatamente ogni licenziamento. La massima ricompensa va a chi se ne va quasi subito: riceverà infatti 48 mensilità (4 anni!) e 38.000 euro di bonus chi lascerà l’azienda entro 31 luglio fino ad arrivare a 24 mensilità, senza bonus, per chi esce entro 31 ottobre 2023. (L’azienda vuole arrivare a 500 licenziamenti.)  Naturalmente queste uscite saranno accompagnate da un accordo “tombale”, cioè il licenziamento non sarà impugnabile. Molto ricco anche l’esborso per chi ha i requisiti per andare in pensione entro i prossimi 5 anni. 

Non è noto quanto Vodafone abbia messo a budget per questa “ristrutturazione”, facendo un calcolo approssimativo comunque si ipotizzano diverse decine di milioni...

A questi dipendenti Vodafone elargirà l’assegno di esodo, pari all’importo del trattamento pensionistico per 13 mensilità, oltre ad un bonus di 3000 euro per ogni anno di pre-pensionamento. Un mucchio di denaro. Non è noto quanto Vodafone abbia messo a budget per questa “ristrutturazione”, facendo un calcolo approssimativo comunque si ipotizzano diverse decine di milioni. Pesano proprio questi dipendenti! Una parte dei costi di ristrutturazione però li paga come sempre la collettività attraverso l’uso degli ammortizzatori sociali, previsti fino alla riduzione del 25% dell’orario di lavoro nel settore del call center. 

A questo punto chi legge si chiederà “E dunque? Cosa c’è che non va in questo generosissimo accordo?
Non va che non si sia fatta una sola ora di sciopero a sostegno della trattativa. I lavoratori e le lavoratrici Vodafone non sono stati chiamati a mobilitarsi, a discutere le opzioni, quasi la faccenda non li riguardasse. Voteranno l’accordo solo a valle della trattativa, dopo che è stato già firmato dai sindacati (Cobas escluso). Si dirà: “Comunque meglio di così non poteva andare”. 

Invece sì: se si partiva dal rifiuto della dichiarazione di esuberi, dall’affermazione che si dovevano salvare tutti i posti di lavoro, se ci si opponeva all’evidente disegno di azzerare il call center (maggiori incentivi all’uscita, maggiore percentuale di solidarietà). L’azienda non è in crisi, per questo l’efficientamento richiesto non può essere realizzato incentivando le uscite o promettendo riqualificazione professionale. 

Entrambi gli strumenti sono già stati usati in azienda: il primo che nell’immediato sembra un colpo di fortuna, per diversi lavoratrici e lavoratori alla fine si è rivelato una sciagura, perché un altro lavoro non l’hanno trovato. Il secondo è chiaro ormai che è un palliativo, decine e decine di lavoratori han già fatto corsi di formazione e oggi si ritrovano di nuovo nel novero di quelli da riqualificare.


Questa ennesima ristrutturazione in Vodafone, forti dell’esperienza passata, avrebbe potuto essere l’occasione per un accordo modello, innovativo, che parlasse di riduzione di orario diffusa a parità di retribuzione: “lavorare meno per lavorare tutti” (a parità di salario), non è uno slogan da vetero-comunisti, ma potrebbe essere una chiave di volta per la gestione dalle crisi occupazionali e anche per recuperare spazi di vita. 

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