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19 Maggio 2023 - 17:35
Abdullah ha riabbracciato i figli e la moglie
E' una favola a lieto fine quella di Abdullahe e della sua famiglia.
La sua storia inizia, come quella di tanti afghani, il 26 agosto del 2021 quando si è verificata quella che è stata definita “la più difficile evacuazione della storia dell’uomo”.
Coin il ritiro delle truppe NATO che per 20 anni hanno promesso di costruire un nuovo Afghanistan libero dal dominio dell’estremismo religioso, scoppia il caos nel Paese.
Sono ancora negli occhi di tutti quelle drammatiche immagini.
Decine di migliaia di cittadini afghani si riversano all’aeroporto di Kabul, decine di persone muoiono schiacciate dalla folla nel tentativo di salire su un aereo americano, italiano o inglese. Alcuni si appendono disperatamente al carrello di atterraggio dei velivoli in partenza, preferendo la morte alla vita in un paese che li avrebbe perseguitati e umiliati.
Adullah, il 26 agosto del 2021, era all’aeroporto di Kabul.
Insieme a sua moglie Maryam e ai suoi figli Habiba e Sayed stava cercando di accedere alle piste di decollo dopo giorni di inutili tentativi. Abdullah e Maryam, di confessione sciita ed etnia Hazara, attivisti per i diritti umani e per i diritti delle donne, dovevano fuggire dall’Afghanistan a ogni costo.
Alle 17:50 di quel 26 agosto un attentato suicida scatenò il panico all’interno dell’aeroporto.
Nel caos, e in mezzo a 183 morti e centinaia di feriti, Abdullah si ritrova su un aereo militare italiano, ma Maryam, Habiba e Sayed non sono con lui.
Il giorno successivo Abdullah arriva a Fiumicino. Segue una lunga trafila di trasferimenti in diverse città del sud Italia, poi scopre che a Ciriè, nel centro di accoglienza gestito dal Consorzio dei Servizi Sociali del territorio e dalle cooperative “Stranaidea” e “Dalla Stessa Parte”, sono accolti tre suoi nipoti, fuggiti dall’Afghanistan per gli stessi motivi e durante gli stessi drammatici giorni.
Alla fine del 2021 raggiunge i nipoti nel SAI di Ciriè e inizia il suo percorso di accoglienza e integrazione, aiutato dagli operatori del Progetto di accoglienza. Trova lavoro in un albergo del territorio, impara l’italiano, ottiene il riconoscimento dei suoi titoli di studio, vince una borsa di studio e si iscrive a un corso di Laurea Magistrale in Cooperazione Internazionale. Si riappropria, in breve tempo, di quella parte di sé che lo identifica come accademico, professore universitario e intellettuale.
È un uomo intelligente, Abdullah, e soprattutto è un uomo buono che nonostante le difficoltà non dimentica di ringraziare, offrire il proprio aiuto e sorridere.
Ogni tanto però, il suo sorriso lascia il posto a una preoccupazione profonda, perché una parte di Abdullah, quella più importante, è lontana da lui ed è in pericolo.
Maryam, Habiba e Sayed sono scappati in Iran, ospiti di alcuni amici di famiglia. Non riescono a ottenere un visto regolare, a volte non riescono neanche a comunicare con lui perché i telefoni non funzionano.
Abdullah chiede aiuto perché sa che tra le attività del Progetto c’è anche quella di seguire dei percorsi di ricongiungimento famigliare. Sa anche che è un percorso estremamente difficile, perché non ci sono interlocutori, le ambasciate non rispondono e le informazioni sui corridoi umanitari sono poche e spesso affidate a iniziative private. Abdullah e gli operatori del Progetto scrivono a tutte le istituzioni e a tutte le organizzazioni umanitarie di cui hanno contatti.
A raccogliere la sfida è la cooperativa Stranaidea che, insieme alla cooperativa di Ciriè "Dalla stessa parte", gestisce il progetto del Cis "Mr. Grab" in qualità di soggetto attuatore.
Sono mesi infiniti fatti di PEC, telefonate, appelli e ricerche. Dopo oltre un anno, l’unico a credere che ci sia ancora una possibilità per la sua famiglia è Abdullah. Firma procure per i suoi figli da inviare a Teheran, chiede ancora l’aiuto del Progetto di accoglienza mettendo a disposizione le sole due armi che possiede: il sorriso e la fiducia. Abdullah dice che prima o poi succederà, in qualche modo qualcosa succederà.
ABDULLAH IN STAZIONE A TORINO
E alla fine del 2022, dopo oltre un anno e mezzo, qualcosa succede.
Qualcuno chiama Maryam per dirle che all’ambasciata italiana di Teheran ci sono i visti per lei e per i bambini.
Il giorno successivo qualcun altro invia delle prenotazioni per un volo Teheran-Roma. Qualcuno, alla fine e in qualche modo, ha fatto qualcosa.
"Non sappiamo molto altro - spiega Fabio Codias, di Stranaidea - perché spesso è così che accadono queste cose".
FABIO CODIAS IN STAZIONE CON ABDULLAH
Abdullah, invece, lo sapeva che queste cose accadono così. Dopo una settimana, Maryam e i piccoli Habiba e Sayed arrivano a Roma, trascorrono qualche giorno in provincia di Ancona. Poi il Progetto di Accoglienza SAI di Ciriè invia richiesta di ricongiungimento e dopo altre settimane e una serie di documenti scambiati via e–mail, un treno con a bordo Maryam, Habiba e Sayed arriva a Torino Porta Nuova.
È il 13 Febbraio 2023, ore 12:20. Abdullah è lì ad aspettarli. Un momento atteso dal 26 agosto 2021, ore 17:50.
Mister Grab si occupa di accoglienza di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale in piccoli/medio comuni della Valle di Lanzo.
I comuni coinvolti sono Ciriè, Nole, Mathi, Lanzo e Germagnano. È attivo dal 2016 ed è gestito da due cooperative: "Stranaidea" di Torino e "Dalla Stessa Parte" di Ciriè.
Si differenzia formalmente al suo interno nel servizio CAS (Centro Accoglienza Straordinaria) e SAI (ex SIPROIMI, ex-SPRAR, letteralmente Sistema di Accoglienza e Integrazione). Il CAS è attivo sotto mandato della Prefettura di Torino e accoglie i richiedenti asilo.
Il SAI è gestito invece in rete con l’Ente Locale CIS Ciriè e la rete nazionale SAI ed ospita prevalentemente persone titolari di protezione internazionale. L’obiettivo di Mister Grab è quello di fornire educazione linguistica, scolastica ed interculturale, garantire sostegno legale e sanitario, favorire l’inserimento lavorativo attraverso l’attivazione di tirocini sostenuti in un primo tempo dal progetto e, ovviamente, la tutela dei bisogni primari.
"Quello che ci interessa diffondere sul territorio è un messaggio di presenza e di disponibilità, che necessariamente passa attraverso la visibilità - spiega Fabio Codias di Stranaidea - Solo osservando quello che facciamo possiamo sperare di coinvolgere le persone, le istituzioni locali e gli enti che erogano servizi. Noi, di fatto, non accogliamo nessuno: è la comunità che accoglie queste persone, il nostro compito è fare in modo che la comunità sia consapevole della responsabilità derivante da questa scelta".
"Una buona parte dei nostri ospiti alla fine del periodo di accoglienza rimane sul territorio, lavora, affitta una casa, manda i figli a scuola e ricostruisce la propria vita, spesso portandosi dentro carichi emotivi che non possiamo (per fortuna) nemmeno immaginare. Il passaggio che ci proponiamo di compiere è un cambio di paradigma che trasformi la visione della migrazione come "emergenza da affrontare" in una visione della migrazione come "crescita collettiva".
"Nessun libro ti arricchisce quanto conoscere una persona, ci interessa far sapere alle comunità locali di avere a disposizione sul territorio una sterminata biblioteca umana piena di biografie meravigliose che raccontano la vita, la morte, il dolore, l'amore e la rinascita. Questa che abbiamo raccontato è solo una di queste storie, che dalle montagne dell'Afghanistan e dell'Iran è arrivata a Ciriè".
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