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13 Febbraio 2023 - 19:37
Era settembre del 2021 quando a Ciriè arrivavano quattro afghani in fuga da una Kabul appena abbandonata dall’Occidente.
Tre nipoti e lo zio.
Erano arrivati in aereo tramite un corridoio umanitario e accolti grazie al progetto Mr Grab coordinato dalle cooperative Dalla Stessa Parte e StranaIdea.
A quel progetto aveva partecipato anche il Cpia.
“Li abbiamo sgrossati sull’italiano - racconta la responsabile della scuola per adulti, Mauela Vallarino - ed è stato molto bello poterci rendere utili. Erano tutti di ottima cultura. Scappati dal regime talebano per farsi una vita in Italia”.
E’ una storia di salvezza e di successo, questa. Infatti, oggi, i tre fratelli sono iscritti in Università grazie alle borse di studio ottenute con “Unito for Afghanistan”.
L’obiettivo delle iniziative legato a questo progetto è quello di portare al sicuro studiose e studiosi, studentesse e studenti di cittadinanza afgana al momento residenti in zone a rischio e supportare studentesse e studenti, già richiedenti asilo, arrivati in Italia con i corridoi di Stato. Esattamente com’era accaduto con i ragazzi ospitati a Ciriè.
Il Cpia per mesi è rimasto al loro fianco.
“Uno di loro - spiega Vallarino - ha iniziato il corso di italiano per prendere la patente. Un altro per conseguire la terza media. Hanno anche trovato dei lavori nelle aziende del territorio, conoscendo bene l’inglese”.
Al loro arrivo a Ciriè, oltre un anno fa, il nostro giornale li aveva intervistati.
Abdullah Zahidi, 20 anni, studente universitario in discipline economiche, reporter freelance. Coordinava un gruppo di reporter indipendenti a Kabul.
Abdulkarim Zahidi, 18, diplomato alle scuole superiori.
Abdulhamid Zahidi, 23 anni, studente universitario in legge.
Tre fratelli nati nella provincia centrale dell’Afghanistan, nel Daykundi.
E poi con loro c’era Abdul Razaq Bashardost. È loro zio. Di anni ne ha 28 ed è nato nella provincia di Wardak. Professore in Teologia, aiutava il governo afghano nella stipula dei trattati internazionali.
Com’erano le vostre vite in Afghanistan prima della presa del potere dei talebani?
Abdul Razaq: «Prima dell’arrivo dei Talebani, la situazione in Afghanistan non era perfetta. Nonostante le forze militari straniere e gli aiuti internazionali degli ultimi vent’anni, non c’erano possibilità di istruzione: i talebani organizzavano metodicamente attacchi terroristici nei centri educativi e religiosi, soprattutto contro l’etnia Hazara e i musulmani sciiti. Questi attacchi sono stati perpetrati sistematicamente contro gli Hazara, le minoranze religiose e le donne, rendendo la vita sempre più difficile al popolo afghano. D’ altro canto c’era la speranza che almeno si potesse mantenere questo governo, non permettendo ai talebani di salire al potere - questa situazione era imprevedibile per il popolo afgano! Ma con l’arrivo dei talebani, i vari successi degli afghani nei campi dell’istruzione, della formazione, dell’occupazione lavorativa, ed in particolare dei diritti delle donne e dei diritti umani, sono stati distrutti».
Abdulhamid: «Prima che i talebani arrivassero in Afghanistan, la situazione (politica) non era molto buona, non c’era molta sicurezza, ma stavamo cercando di proseguire i nostri studi, di raggiungere i nostri obiettivi e lavoravamo sodo. Il mondo sa che gli Hazara e gli Sciiti hanno sempre avuto problemi. Nel corso della storia, il popolo Hazara è stato attaccato dai terroristi, ma nonostante tutto ha cercato di portare avanti la propria educazione ed il proprio lavoro. Prima che i talebani conquistassero la capitale dell’Afghanistan, Kabul, la sicurezza non era sotto controllo, ma cercavamo di continuare la nostra istruzione, di andare all’università e di lavorare. Poi con l’arrivo dei talebani la situazione si è aggravata, attaccavano di continuo scuole e università. Questi centri di educazione erano particolarmente dipendenti dagli Hazara. Noi non potevamo immaginare né tollerare la vita con i talebani e per questo abbiamo lasciato il nostro paese».
Abdullah: «Prima che i talebani conquistassero tutto l’Afghanistan, la vita era quasi normale: non c’era piena sicurezza per tutti i cittadini, ma almeno la gente aveva la speranza di andare all’università e poteva sognare il proprio futuro. Dopo che i talebani hanno conquistato tutto l’Afghanistan, in particolare Kabul, ogni sogno è svanito, la gente ha smesso di avere speranze per il futuro. Quindi abbiamo costretto non solo noi stessi, ma anche tutte le persone a fare almeno qualcosa per se stesse, perché le loro vite erano in pericolo e a rischio, così abbiamo deciso di emigrare, di andare in un altro paese almeno per sopravvivere. Quando la Nato ha preso il controllo dell’Aeroporto Internazionale di Kabul, tutti vi si sono recati per salvarsi. Quando il piano di evacuazione dall’aeroporto agli altri paesi è divenuto effettivo, almeno le persone che lavoravano con paesi stranieri, con americani, con europei, hanno ottenuto i documenti per partire. Quando ne siamo venuti a conoscenza, il Governo Italiano ha confermato un elenco di professori universitari, giornalisti e difensori dei diritti umani, ed io ero uno della lista. Nella mia mente, speravo di potermi salvare!».
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