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Suite francese per Emmanuel Macron

Emmanuel Macron

Emmanuel Macron

Avvalersi dell’articolo 49 comma 3 della Costituzione del 1958 è una scorciatoia pericolosa. Eppure Emmanuel Macron ha deciso di correre questo rischio, proprio per alzare l’età pensionabile da 62 a 64 anni. Chissà quanti esponenti della politica in Italia accarezzano l’idea che la riscrittura «alla francese» della nostra Costituzione potrebbe giovare ad avere le mani molto più libere. 

Ma c’è un ma. Secondo gli esperti, il sistema francese ha la tendenza ad oscillare, ora attribuendo maggiori poteri all’esecutivo, ora all’Assemblea. 

Certo, il presidente può by-passare il Parlamento adottando un provvedimento che riguardi «un progetto di legge finanziaria o di finanziamento della previdenza sociale», ma potrebbe trovarsi, come in questo caso, di fronte ad una mozione di sfiducia dell’Assemblea nazionale che, se fosse stata approvata, non avrebbe provocato la caduta del presidente Macron ma, certamente, del governo di Elisabeth Borne.

La mozione di censura per fermare la riforma delle pensioni, votata il 20 marzo, è stata respinta per soli nove voti. Sulla carta, perciò, l’innalzamento dell’età pensionabile è cosa fatta, ma le piazze francesi sono tutt’altro che sedate. Aldilà del merito della riforma, quello che si può osservare è che «una crisi sociale si è trasformata in una crisi politica che può trasformarsi in una crisi di regime». Sembra proprio la democrazia francese ad essere messa in causa. 

La Costituzione del 1958 è stata riformata più volte: nel 1962, con l’elezione diretta del capo dello Stato, poi con la riduzione del suo mandato da sette a cinque anni e, ancora, anticipando le elezioni presidenziali rispetto alle legislative. 

Per gli esperti, quella del 2008 è la più incisiva delle revisioni realizzate perché prevede il controllo di costituzionalità successivo (ecco il contrappeso istituzionale del potere politico), attivabile per mezzo di un ricorso al Consiglio costituzionale sulla conformità alla Costituzione di una «loi promulguée». 

Questo vuol dire che la riforma potrebbe essere sospesa (per trenta giorni o solamente otto, a seconda che il governo non ne solleciti l’esame in via d’urgenza) se un certo numero di parlamentari chiedesse un pronunciamento della Corte sulla costituzionalità del provvedimento.

E' possibile inoltre indire il Rip (Referendum d’iniziativa condivisa), procedimento d’iniziativa di un quinto dei componenti del Parlamento (ossia 185 dei 925 parlamentari), corredata dalle firme di un decimo degli elettori, cioè quasi 5 milioni di persone, da raccogliersi entro nove mesi e, in tal caso, il provvedimento verrebbe sospeso. Insomma, le Costituzioni democratiche contengono delle vere e proprie trappole per gli autocrati, dei pesi e contrappesi a garanzia delle libertà e dei diritti dei cittadini, compresi quelli di dissentire sulle decisioni dei loro rappresentanti, ai quali pure, con il voto, hanno attribuito il potere di decidere in loro vece. 

Un potere sempre revocabile (tramite elezioni) e che può essere sottoposto a smentite (referendum). 

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