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Rivarolo Canavese
09 Febbraio 2023 - 12:04
Guido Zabena
"È stata fornita la prova che gli odierni imputati, cooperando colposamente fra loro, omisero di adottare accorgimenti e misure che era in loro potere predisporre, cagionando così la evitabile morte di Zabena Guido". Sono pesantissime le parole contenute nelle motivazioni della sentenza di condanna per omicidio colposo del sindaco di Rivarolo Canavese Alberto Rostagno e dei suoi assessori Lara Schialvino (oggi consigliere di maggioranza) e Francesco Diemoz.
I tre sono stati condannati dal giudice Antonio Borretta del tribunale di Ivrea l'11 novembre scorso, assieme al capo della polizia locale Sergio Cavallo e al capo dell'ufficio lavori pubblici e manutenzioni del Comune, Enrico Colombo, per la morte di Guido Zabena, l'operaio favriese di 51 anni che finì affogato nel sottopasso allagato tra Rivarolo e Feletto la notte tra il 2 e il 3 luglio del 2018, quando un pesante alluvione si abbattè sulla Città di Rivarolo.
Le motivazioni della sentenza di condanna sono state depositate lo scorso 3 febbraio, e gli avvocati hanno potuto ottenerle ieri. 58 pagine in cui vengono ripercorse le tappe del processo, dalle ricostruzioni fatte in aula alle valutazioni dei giudici. Per intanto, i giudici ritengono verificate le motivazioni dell'allagamento del sottopasso.
A partire dalla conformazione del terreno attorno al sottopasso. Una conformazione pendente verso l'interno che ha favorito l'accumularsi di fango, acqua e detriti dentro al sottopasso la notte dell'alluvione. Complice anche l'assenza del fosso di guardia, l'acqua è andata ad ostruire le tre pompe presenti nel sottopasso.
Il blocco di due di queste tre pompe non ha così potuto impedire l'accumulo dell'acqua. Inoltre, come scrive il giudice, "la capacità di smaltimento delle pompe installate nel sottopasso era inferiore del 25%" e perciò "esse erano anche sottodimensionate rispetto all'iniziale progetto".
Ma, al di là di cosa successe quella sera, resta da chiedersi: la morte di Zabena poteva essere evitata? Sì, secondo i giudici. "Quantomeno a partire dal luglio 2014 - si legge nelle motivazioni - il sottopasso [...] fu soggetto di numerosi allagamenti, anche di grave entità, i quali finirono addirittura per destare l'interesse della stampa locale e per diventare oggetto di specifiche doglianze mosse da un comitato nei confronti dell'amministrazione di Rivarolo Canavese". Si trattava del Comitato Mobilità e Sviluppo dell'Alto Canavese.
Il 7 luglio 2014, ad esempio, un'auto rimase intrappolata nel sottopasso allagato. Stesso copione della vicenda di Zabena, ma dall'esito fortunatamente diverso. Il Comitato Mobilità e Sviluppo aveva persino depositato una richiesta agli uffici di Palazzo Lomellini, in cui segnalava dettagliatamente l'urgenza di diversi interventi di manutenzione e di pulizia.
Alberto Rostagno, sindaco di Rivarolo Canavese
"A fronte di questi ricchi dati - scrive il giudice - [...] l'eventualità che esso [il sottopasso, ndr] potesse nuovamente allagarsi era ampiamente prevedibile. Altrettanto poteva prevedersi che tale futuro allagamento potesse essere importante, dal momento che nel luglio 2014 si era verificato un allagamento che aveva quasi sommerso del tutto un'autovettura intrappolata nel sottopasso".
Così come poteva essere facilmente previsto "che durante un allagamento potesse rimanere bloccata all'interno del sottopasso un'autovettura" e che qualcuno, in quell'autovettura, potesse morirci. Qualcosa che si poteva fare per evitare tutto ciò c'era. Lo scrive il giudice.
"Erano, infatti individuabili, anche ex ante, una pluralità di condotte alternative lecite" che l'amministrazione poteva mettere in campo per sventare il disastro di quella notte. "L'amministrazione [...] avrebbe potuto predisporre un'analisi da parte di esperti sullo stato dei luoghi, la quale avrebbe evidenziato le gravi carenze strutturali del sottopassagio".
Come l'assenza del fosso di guardia, l'assenza di strutture contenitive delle scarpate perimetrali del sottopasso e la presenza di pompe non conformi al progetto iniziale. Inoltre, vista la frequenza con cui il sottopasso si allagava, il Comune avrebbe potuto posizionare alcuni segnali verticali accoppiati a dei pannelli raffiguranti il simbolo "zona soggetta da allagamento", così come dei sensori in grado di verificare l'altezza dell'acqua piovana nella sezione più profonda del sottopasso.
Francesco Diemoz, vicesindaco
"Si tratta di condotte alternative lecite - scrive il giudice - del tutto esigibili, non fosse altro che almeno parte di esse furono poi celermente attuate dopo l'evento mortale". Appunto, dopo. Prima dell'evento mortale, invece, "l'amministrazione assunse un atteggiamento di sostanziale inerzia, intervallata da sporadici interventi di manutenzione ogni volta che si verificava un allagamento o un danno".
Il giudice rimarca poi come "ognuno degli imputati rivestiva ruoli decisori", tecnici compresi. Ognuno di essi, cioè, aveva facoltà "di agire direttamente per migliorare la gestione del sottopasso o, in ogni caso, di sollecitare il primo cittadino ad agire risolutivamente".
Zabena passò dal sottopasso perché non c'erano transenne
Completamente giustificata fu la condotta di Zabena la notte dell'incidente. Scrive il giudice, infatti, che Zabena stava semplicemente rientrando a casa e che per farlo necessitava di passare per il sottopasso. Una collega, Antonella Peloso, "l'aveva esortato a non passare per il sottopassaggio che poteva essere allagato", e quindi Zabena conosceva il rischio.
Ciononostante, Zabena quella notte imboccò il sottopasso perché non vide nessuna transenna né chiusura. Lo percorse in totale serenità. "Il fatto che lui fosse a conoscenza dei pregressi allagamenti del sottopasso e fosse stato allertato dalla sua collega Peloso dell'eventualità non vale a rendere la sua condotta del tutto eccentrica, contraria a ogni consuetudine e quindi anomala".
Come dicevamo, l'operaio di Favria stava semplicemente rincasando percorrendo una strada libera senza contravvenire a nessuna norma del codice della strada "peraltro intenzionato a tornare indietro - scrive il giudice - ove il sottopassaggio fosse stato allagato". E non solo.
Zabena non poteva comportarsi diversamente neanche quando si trovò intrappolato nel sottopasso. La ricostruzione effettuata dal giudice è dettagliata nei massimi particolari. L'abitacolo della sua vettura non fu subito sommerso completamente dall'acqua. Ci fu un momento in cui la macchina era circondata dall'acqua mentre Zabena, dall'interno, tentava di chiedere aiuto.
In un primo momento l'uomo cercò di chiamare i soccorsi digitando erroneamente il 133. Il numero, scrivono i giudici, era errato: Zabena voleva in verità contattare il numero di emergenza 113, ma l'errore che commise fu verosimilmente dovuto alla situazione di panico.
Il sottopasso allagato la notte tra il 2 e il 3 luglio 2018
L'uomo provò anche a chiamare i suoi genitori. Erano le 00.50, e la chiamata con loro terminò all'1.25, nel momento in cui l'acqua riempì completamente l'abitacolo. Zabena avrebbe potuto comportarsi diversamente? No, ma se anche avesse potuto la situazione di panico in cui si trovava rende pienamente comprensibile il modo in cui ha agito.
È infatti pienamente comprensibile, e lo scrivono i giudici, "la reazione della vittima dettata dal terrore della situazione che la circondava, e votata a un approccio prudente". Zabena era da solo, al buio, in un contesto di pericolo. L'uomo, peraltro, non era neanche capace di nuotare: rimase dentro l'abitacolo per puro istinto di sopravvivenza.
"Rimproverare a Zabena un atteggiamento 'attendista' e poco coraggioso porterebbe all'aberrante conseguenza di addossare ad egli soltanto le conseguenze di una situazione gravemente pericolosa favorita e causata (mediante omissione) da altri" scrive il giudice.
Un'altra tesi difensiva che si è avvicendata nel corso del processo è quella per cui il decesso di Zabena sarebbe da addebitare esclusivamente al ritardo dei soccorsi. Secondo la tesi, nello specifico, la centrale operativa dei Vigili del Fuoco avrebbe dovuto chiamare, dopo la segnalazione arrivata all'1.02 di notte, i Vigili del Fuoco di Rivarolo Canavese, che erano già nei dintorni per altri interventi.
La centrale si rivolse invece ai VVF di Ivrea, che giunsero sul luogo ventisei minuti dopo la segnalazione, all'1.28. Per il giudice, quest'argomentazione è infondata. "La sezione di Rivarolo Canavese era costituita da personale volontario, e non specializzato, come quello che invece intervenne sul posto, riscontrando peraltro una situazione non facilmente gestibile nemmeno da chi è addestrato ad affrontarla".
Lara Schialvino, all'epoca assessore ai lavori pubblici
Tanto che fu poi richiesto l'intervento del Nucleo Speleo Alpino Fluviale. Insomma, l'efficacia dei vigili del fuoco di Rivarolo resta un'ipotesi: come avrebbero potuto dei volontari comportarsi meglio dei professionisti in quella drammatica situazione che avrebbe mandato in crisi anche chi faceva il Vigile del Fuoco di mestiere?
E questo è un primo punto sollevato dal giudice. In seconda istanza, l'intervento dei vigili del fuoco "sarebbe stato possibile ove fosse stato predisposto un piano di protezione civile aggiornato e contemplante uno schema di intervento peculiare per il problematico sottopassaggio, indicato quale scenario di rischio".
Ma l'ultimo piano di protezione civile risaliva al 2013, e per di più non prevedeva nulla in merito al sottopassaggio e ad eventuali piani di intervento correlati. Terzo argomento dei giudici: se anche i soccorsi fossero stati tardivi, questa sarebbe stata una mera concausa della morte di Zabena, un evento tra i tanti che l'ha provocata.
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