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Terre rare, alleanza tossica: perché USA e Russia trattano sottobanco mentre l’Ucraina brucia

In un mondo sconvolto da guerre e sanzioni, Mosca e Washington aprono tavoli di negoziato sulle terre rare. Dal Donbass alla Groenlandia, passando per il Mar Rosso e la Cina: ecco la nuova corsa all’oro tecnologico che riscrive la geopolitica globale

Geopolitica

La pace è chimica: la tavola periodica al centro della nuova diplomazia

C’è qualcosa di più prezioso del petrolio e del gas, qualcosa che giace sotto le viscere della terra e che alimenta le tecnologie del futuro, dalle batterie dei veicoli elettrici ai satelliti, dai missili balistici agli smartphone: sono i metalli delle terre rare, e oggi rappresentano la nuova frontiera della geopolitica mondiale.

Ma ciò che sorprende di più non è l’importanza crescente di queste risorse. È il fatto che, in pieno conflitto globale a bassa intensità tra Occidente e Russia, Mosca e Washington stiano trattando proprio su questo terreno. Un paradosso che sfida la logica della guerra in Ucraina, eppure apre nuovi scenari di alleanze temporanee, opportunismi strategici e vecchie ambizioni imperiali rimescolate sotto forma di accordi commerciali.

A dare il via alla nuova narrativa è stato Kirill Dmitriev, capo del Fondo Russo per gli Investimenti Diretti (RDIF) e delegato speciale del presidente Vladimir Putin per gli affari economici esteri. In un’intervista rilasciata al quotidiano russo Izvestia ha dichiarato: “I metalli delle terre rare rappresentano un’importante area di collaborazione. Abbiamo certamente avviato discussioni su vari metalli delle terre rare e progetti sul territorio russo”.

Secondo Dmitriev, alcune aziende americane avrebbero già manifestato interesse concreto. E l’attenzione non si ferma alla sola Russia: nella proposta di Mosca c'è anche la possibilità di coinvolgere le aree ucraine occupate militarmente, come annunciato apertamente da Vladimir Putin il 24 febbraio scorso: “La Russia è pronta a offrire agli Stati Uniti una collaborazione congiunta nell’ambito dell’estrazione dei metalli delle terre rare, sia sul territorio russo sia in quelli annessi dell’Ucraina”. Una dichiarazione che ha lasciato sgomenti molti analisti, ma che si inserisce in una strategia più sottile e ambigua, dove la diplomazia delle risorse si mescola con l’arte della manipolazione psicologica.

Secondo un’analisi pubblicata dalla BBC e firmata da Mark Galeotti sul Sunday Times, la strategia negoziale di Putin si articola su tre direttrici, tutte abilmente costruite per sfruttare i tratti psicologici di Donald Trump, attualmente in corsa per la rielezione e di nuovo al centro della scena internazionale.

Il primo pilastro è la disponibilità a proseguire i processi di pace, ma solo in cambio di concessioni specifiche. Il secondo è una convergenza ideologica: sia Putin che Trump considerano l’Ucraina uno Stato subalterno, non del tutto sovrano, le cui risorse sono spartibili tra le due superpotenze. Il terzo, infine, fa leva sulla diffidenza viscerale di Trump verso l’Unione Europea.

Galeotti scrive: “La scorsa settimana Putin ha definito il desiderio di Trump di acquistare la Groenlandia ‘serio’ e con ‘profonde radici storiche’, aggiungendo però che ‘questo non ci riguarda direttamente’”. Un commento solo in apparenza neutro, che in realtà legittima le ambizioni territoriali americane e al tempo stesso segnala che Mosca non si opporrà. Un modo per rafforzare l’alleanza silenziosa tra due leader uniti dalla stessa visione mercantilista della politica estera.

Il contesto è più che mai incandescente. Gli USA avevano già firmato un preaccordo con Kiev per l’estrazione di terre rare, ma Trump ha lanciato un ultimatum a Zelenskij: il 31 marzo, parlando con i giornalisti, ha affermato che il presidente ucraino vuole uscire dall'accordo e ha aggiunto un monito gelido: “Ci saranno gravi conseguenze se lo farà”. Un linguaggio che ricorda più un CEO che un presidente. E infatti è proprio così che Trump si vede: un amministratore delegato della USA Incorporated, come scrive Galeotti, interessato più ai profitti che ai principi.

Mosca ha fiutato l’occasione. Non potendo più contare sull’export massiccio di gas, ridotto dopo lo stop al transito attraverso l’Ucraina dal 1° gennaio 2025 e gli attacchi ucraini alle infrastrutture energetiche russe, la Russia tenta una riconversione strategica verso le terre rare.

Secondo Izvestia, il prossimo incontro tra delegazioni russe e americane è previsto per metà aprile a Riyadh, in Arabia Saudita. Un luogo simbolico e strategico: non solo punto di equilibrio tra Occidente e Oriente, ma anche snodo energetico tra petrolio e nuove risorse critiche. Qui si decideranno probabilmente le sorti commerciali e diplomatiche di una nuova fase della Guerra Fredda, che non si combatte più con missili nucleari, ma con concessioni minerarie, accessi ai porti e diritti d’estrazione.

Nel frattempo, l’Europa continua ad alimentare, anche indirettamente, l’economia russa. Secondo i dati di RIA Novosti, l’Ungheria è oggi il primo acquirente europeo di gas russo, con oltre 1.000 miliardi di rubli spesi. Seguono Italia, Grecia, Slovacchia e Bulgaria. Nonostante le sanzioni e le condanne, il flusso di denaro continua. Nel solo 2024, l’Ungheria ha importato 8,6 miliardi di metri cubi di gas. Dal 1° gennaio 2025, però, la Russia ha iniziato a registrare un calo significativo delle esportazioni, a causa sia della fine del transito via Ucraina, sia degli attacchi mirati dell’esercito ucraino alle infrastrutture, come nel caso della stazione “Stalnoy Kon’” (Cavallo d’Acciaio).

Il puzzle geopolitico è più ampio. La Groenlandia è al centro delle mire americane per la sua posizione strategica e le sue risorse, e Putin ha lasciato intendere di non ostacolare eventuali mosse di Trump in quella direzione. Nel Mar Rosso, gli scontri tra le milizie Houthi, l’Iran e la coalizione occidentale mettono a rischio le rotte di approvvigionamento globali, creando un'ulteriore pressione su USA, Russia e Cina. E proprio la Cina resta il primo produttore mondiale di terre rare. Ma negli ultimi mesi, Pechino ha iniziato a restringere le esportazioni di alcuni metalli critici, nel tentativo di rafforzare il proprio settore tecnologico e impedire all’Occidente di ‘rubarne’ i vantaggi. Secondo Bloomberg, la Cina ha ridotto del 30% le esportazioni di gallio e germanio, due elementi chiave per l’industria della difesa e dei microchip. Questo sta spingendo gli USA a cercare alleati alternativi, anche tra i nemici storici, come la Russia.

Da quanto sta accadendo, emerge una nuova forma di diplomazia: la diplomazia del sottosuolo. Una diplomazia che non guarda più alla fedeltà ideologica, ma alla strategia delle risorse. La Russia, isolata dall’Occidente, trova nel commercio dei metalli rari un’arma negoziale potente. Gli Stati Uniti, desiderosi di affrancarsi dalla Cina, valutano il compromesso con Mosca. L’Ucraina è stretta tra due predatori, mentre l’Europa è ancora divisa tra esigenze energetiche e vincoli morali. La prossima guerra non sarà combattuta per il territorio, ma per ciò che c’è sotto di esso. E forse, la pace stessa sarà scritta su una tavola periodica.

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