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18 Ottobre 2025 - 19:45
Durante la conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi per illustrare la legge di bilancio 2026, la premier Giorgia Meloni ha colto tutti di sorpresa lasciando l’aula dopo appena due domande, accompagnata dai vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, e affidando poi la parola al solo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. A chiudere il proprio intervento, Meloni ha pronunciato un sorriso, un «in bocca al lupo» rivolto a Giorgetti mentre posava una mano sulla sua spalla, e la battuta: «Giorgetti è disponibile fino a quando voi ritenete».
La scena ha avuto inizio dopo la seduta del Consiglio dei ministri di ieri e ha visto Meloni seduta accanto ai due vicepremier e al ministro dell’Economia. Dopo l’intervento introduttivo, la premier ha risposto solo a due quesiti, poi – come dichiarato – «siamo fuori tempo massimo» e ha lasciato la sala stampa assieme a Tajani e Salvini. Il ministro Giorgetti ha proseguito da solo, scherzando: «Se volete eh, sennò vado anch’io». A quel punto i giornalisti sono stati liberi di continuare a porre domande esclusivamente al titolare del MEF.
L’uscita anticipata della premier ha suscitato un’immediata ondata di critiche, sia sul piano istituzionale che mediatico, rilanciando il dibattito sul rapporto del governo con la stampa. L’immagine di Meloni che abbandona la conferenza dopo due soli quesiti è stata rilanciata sui social come simbolo di una comunicazione in distanza con la stampa.
Il caso assume ulteriore rilievo se contestualizzato con un precedente che ha fatto discutere: durante un vertice alla Casa Bianca con il presidente Donald Trump e altri leader internazionali, Meloni è stata ascoltata dire – in un fuori onda captato dai microfoni – «Io non voglio mai parlare con la stampa italiana». A commento, il sindacato dei giornalisti Fnsi ha parlato di «mancanza di rispetto» nei confronti della professione.
L’accaduto solleva due domande istituzionali: da un lato la disponibilità dei vertici di governo a sottoporsi al contraddittorio della stampa, dall’altro la scelta di delegare la comunicazione della manovra al solo ministro dell’Economia, pur essendo la legge finanziaria l’atto politico per eccellenza di un esecutivo. La manovra economica, simbolo delle politiche del governo e della sua direzione strategica, assume dunque una lettura particolare: un governo che illustra la sua legge di bilancio e si mostra timido nel confronto con i giornalisti.
In questo quadro, l’episodio manda un messaggio complesso: la premier che lascia la sala, il ministro che scherza e prosegue da solo, la focalizzazione sulla “tempistica” come ragione dell’uscita anticipata. Ma più di ogni cosa, Emergere è il tema del vincolo della comunicazione pubblica. Un atto politico importante, illustrato senza un vero momento di dibattito aperto, rischia di vedere ridotto il confronto democratico tra istituzione, stampa e cittadini.
È un monito per l’intera democrazia: la legge di bilancio non è solo un insieme di cifre e misure, ma un documento di trasparenza e legittimazione pubblica. E se chi governa evita sistematicamente il confronto, si impoverisce non solo la forma ma anche la sostanza della rappresentanza. In un’epoca in cui la comunicazione politica è diventata sempre più centrale, il tango tra potere e stampa non può ridursi a monologhi programmati o a poche domande concesse. È il giornalismo d’inchiesta – e più in generale il diritto all’informazione – che oggi più che mai rappresenta un presidio della democrazia: un presidio da cui non ci si può sottrarre senza rischiare di rendere fragile l’intero impianto della trasparenza e della responsabilità pubblica.
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