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Ballurio su Meloni: «Non abbocco all’indignazione a comando»

L’ex vicesindaca di Ivrea ed ex presidente del Consiglio comunale Elisabetta Ballurio Teit interviene sul caso della parola di Maurizio Landini («cortigiana di Trump») rivolta a Giorgia Meloni: distingue tra offesa sessista e uso politico del linguaggio e rifiuta la solidarietà automatica “di sorellanza”.

Ballurio su Meloni: «Non abbocco all’indignazione a comando»

Ballurio su Meloni: «Non abbocco all’indignazione a comando»

La polemica è scoppiata dopo che Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, ha definito Giorgia Meloni “cortigiana di Trump” durante un’intervista televisiva. La premier ha reagito parlando di offesa sessista, rilanciando la definizione di “cortigiana” come sinonimo di “prostituta” e denunciando un attacco di genere.

Da lì, un’ondata di solidarietà bipartisan e una valanga di reazioni social, con accuse incrociate tra sessismo, doppi standard e ipocrisia politica.

Nel dibattito si inserisce ora la voce dell’ex vicesindaca e già presidente del Consiglio comunale di Ivrea Elisabetta Ballurio Teit, che invita a non cadere nella trappola dell’indignazione a comando.

La sua posizione, netta e scomoda per molti, distingue tra l’offesa sessista e l’uso politico della parola: “Con una che ci marcia così, non solidarizzare non è un torto alle donne. È un atto di lucidità.”
Ecco il testo integrale della sua dichiarazione ...

IL TESTO

Non abbocco all’indignazione strumentale
Francamente, non mi sento in dovere di solidarizzare con Giorgia Meloni per l’offesa che dice di aver subito quando Maurizio Landini l’ha definita “cortigiana di Trump”.
Non perché ritenga giusto quel termine, ma perché non mi presto al gioco di chi strumentalizza la questione per trasformarla in una trappola morale: “se sei una donna, devi solidarizzare con un’altra donna offesa”.
No, grazie.

Quando una donna viene definita “cortigiana” solo per sminuire la sua competenza, per negarle il merito, per suggerire che dietro la sua carriera ci sia solo servilismo o compiacenza verso un uomo, allora sì: mi schiero, la difendo, e mi arrabbio. Perché quella è violenza verbale di genere, una ferita alla dignità di tutte.

meloni

Ma quando una donna, e per di più una leader politica, sceglie di comportarsi da cortigiana verso un potente, accettando sorrisi paternalistici, battute da padrino e ammiccamenti patriarcali senza mai rimandarli al mittente, allora non vedo perché dovrei difenderla. Non perdo il mio senso critico in nome della sorellanza di facciata.

Diciamolo chiaramente: la scena di Trump che la tratta con il suo solito tono da maschio alfa, tra il paternalismo e la vanità, non è piaciuta neppure ai “machi” della destra italiana. E Landini, con la sua frase, le ha fatto paradossalmente un favore: le ha offerto l’occasione perfetta per ribaltare la narrazione e ricompattare il fronte, trasformando una figuraccia internazionale in un “attacco sessista della sinistra”.

Il colpo di genio comunicativo è stato proprio questo: fare della vittima di Trump una martire femminile contro la rozzezza di Landini. Così, i suoi stessi sostenitori che fino a ieri sbuffavano vedendola trattata come una “preferita” dal tycoon, hanno potuto gonfiare il petto e gridare alla difesa delle donne. Un capolavoro di strumentalizzazione.

Le femministe della prima ora, d’altronde, hanno sempre sostenuto che anche la prostituzione, se scelta liberamente, è una forma di autodeterminazione. Io non sono mai stata d’accordo, perché credo che sia comunque figlia di una società con troppe lacune civiche e culturali. Ma, coerentemente con quella logica, chi sono io per stigmatizzare una premier che sceglie di tenere un atteggiamento cortigiano, svendendo la dignità del nostro Paese?

Ecco perché invito a non farsi fregare: non lasciatevi trascinare nell’indignazione a comando. Con una che ci marcia così, non solidarizzare non è un torto alle donne. È un atto di lucidità.

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