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23 Novembre 2025 - 18:34
I latrati dei cani sono arrivati all’improvviso, forti, rabbiosi, seguiti da tre spari esplosi a brevissima distanza dal parco. Erano le 9.30 di sabato mattina e all’Oasi degli Animali il giro quotidiano dei recinti era appena iniziato. Il parco era ancora chiuso quando quei boati hanno messo in allarme Giada Brandimarte e Diego Caranzano, che da luglio 2021 gestiscono la struttura. Non era la prima volta che i cacciatori arrivavano così vicino, ma questa volta qualcosa ha superato ogni limite: nel giro di pochi minuti due animali sono morti, non colpiti dai proiettili, ma dallo shock provocato dagli spari.
Nella zona dei rapaci, il falco pellegrino affidato dal Canc di Grugliasco, presente all’Oasi da un paio d’anni dopo un lungo percorso di cure, è stato trovato immobile nella sua voliera. Era in stato di shock profondo: respirazione compromessa, nessuna reazione agli stimoli, un quadro clinico compatibile con un trauma acuto da spavento. I gestori hanno chiamato il veterinario e avviato le terapie d’emergenza, ma non è bastato. L’animale è morto poco dopo tra le mani di Giada.
Pochi minuti più tardi è arrivata la conferma del secondo decesso. Igor, la cornacchia albina che da anni era la mascotte del parco, è stata trovata senza vita nel suo settore. Anche lei non aveva ferite. E' morta di crepacuore per il terrore provocato dai colpi. Era l’animale più riconosciuto dai visitatori, quello che salutava con vocalizzi precisi, abituato al contatto umano e simbolo stesso dell’Oasi. In natura non sarebbe sopravvissuta al suo piumaggio bianco, facile bersaglio di predatori. Per questo motivo Città Metropolitana aveva deciso di affidarlo all'Oasi. Qui aveva trovato protezione, routine e sicurezza. Fino a ieri.

Igor, la cornacchia albina mascotte dell'Oasi degli animali

Il falco pellegrino affidato dal Canc di Grugliasco
La cornacchia grigia che viveva con lei è sopravvissuta, ma terrorizzata. “Sembrava il far west”, raccontano Giada e Diego, richiamando un clima che, negli ultimi anni, si è ripetuto più volte. Due anni fa cinque animali erano stati trovati morti in un giorno, compresa una civetta delle nevi. La volta precedente, i colpi erano stati sparati dentro il perimetro del parco, con visitatori presenti che avevano poi testimoniato quei terribili momenti, davanti ai carabinieri. E i segni di un’attività venatoria troppo vicina non sono nuovi: in passato i cacciatori erano stati visti caricare un cinghiale morto nel parcheggio dell’Oasi, in pieno giorno.
La mappa della zona rende ancora più evidente la contraddizione. Le auto dei cacciatori salgono da via Nobiei, una strada stretta, chiusa al traffico dopo l'alluvione dello scorso 17 aprile. Solo i pochissimi residenti della borgata possono utilizzarla. I visitatori del parco parcheggiano molto più in basso, a Casalborgone, in un’area messa a disposizione dal Comune, e percorrono un sentiero di tre minuti fino all’ingresso. L’Oasi è incastonata tra boschi e terreni agricoli, e ospita decine di animali recuperati: rapaci, corvidi, piccoli mammiferi. È un luogo che collabora attivamente con Asl, Cites, Canc e altre realtà veterinarie del territorio.
Eppure, proprio attorno all’Oasi, insiste un’area venatoria autorizzata. Una scelta che per i gestori è incomprensibile: “Che messaggio diamo? Noi lavoriamo da anni per mettere gli animali al centro della nostra vita, e poi permettiamo che si spari a pochi metri dalle voliere?”. È un punto che Giada ripete da giorni, con la voce che tradisce stanchezza e incredulità. “Le colline sono grandi, potevano andare da un’altra parte. Perché qui?”.
Anche il tentativo di chiedere aiuto immediato ha mostrato tutti i limiti del sistema. I gestori hanno contattato i carabinieri di Casalborgone, ma non c’erano pattuglie disponibili. I forestali di Volpiano erano impegnati in un servizio esterno. Chivasso e la stessa Casalborgone sono state allertate per inviare qualcuno a raccogliere la denuncia. Nel frattempo, Giada e Diego non potevano lasciare il parco, perché lo gestiscono in due, da soli. Gli animali avevano bisogno di assistenza e i visistatori stavano per arrivare.
Il vicesindaco di San Sebastiano da Po, Beppe Rosso, ha garantito sostegno e appoggio, ma la questione rischia di diventare più ampia: riguarda la sicurezza, la convivenza tra attività incompatibili, la tutela degli animali fragili e la logica con cui si definiscono le aree di caccia.
Per la famiglia che ha costruito la propria vita intorno all’Oasi, l’accaduto è un colpo durissimo. Giada, che il 3 dicembre compirà quarant’anni, Diego, quarantuno, e i loro figli Eros (15 anni) e Greta (9 anni), vivono lì dal 2021. Prima abitavano a Crescentino: una vita di campagna, lui lavoratore autonomo, lei mamma a tempo pieno. Quando hanno capito che il parco non era un impegno ma una vocazione, si sono trasferiti definitivamente. Il figlio più grande studia agraria e li aiuta ogni giorno, dalle pulizie alla preparazione del cibo. La piccola vive nella bellezza di svegliarsi al mattino e vedere gli scoiattoli che si rincorrono sugli alberi.
L’Oasi è diventata la loro casa, il loro progetto, il loro modo di restituire qualcosa agli animali che nessuno può curare e che non possono essere rimessi in libertà. Ecco perché la morte di Igor e del falco non è solo un fatto di cronaca: è uno strappo profondo, difficile da ricucire.
Oggi, mentre nei recinti resta un silenzio insolito, la domanda è una sola: come si può proteggere davvero un luogo così, se a pochi metri è consentito sparare? Le risposte non arriveranno subito. Ma la battaglia, assicurano i gestori, non si fermerà.

Giada e Diego con i loro figli Eros e Greta
CITES, CANC E L'IMPORTANZA DELL'OASI DEGLI ANIMALI
Quando un rapace ferito arriva all’Oasi degli Animali, la sua storia spesso ha iniziato a ricomporsi molto prima di toccare terra tra le voliere del parco. Sono decine gli animali che ogni anno passano dal Canc di Grugliasco, il Centro Animali Non Convenzionali dell’Università di Torino, una delle strutture veterinarie più avanzate del Paese per la cura della fauna selvatica. È da lì che arrivano molti degli ospiti dell’Oasi: animali recuperati sul territorio, stabilizzati dai veterinari e affidati a un luogo dove possano completare la riabilitazione in un ambiente controllato, lontano dai rischi di un rilascio prematuro. È così che il falco pellegrino morto sabato mattina aveva trovato la sua casa sicura, dopo un percorso clinico complesso e mesi di monitoraggio.
La collaborazione tra il Canc e l’Oasi non è un dettaglio amministrativo, ma una necessità pratica. La Provincia, le forze dell’ordine, i cittadini che segnalano animali feriti hanno bisogno di una rete che funzioni in continuità, senza interruzioni tra il momento del recupero e quello dell’eventuale rilascio. Il Canc interviene quando l’animale è in condizioni critiche, lo stabilizza, lo cura, verifica parametri che in natura non sarebbe possibile controllare. L’Oasi rappresenta il passo successivo: offre spazio, tranquillità, una gestione quotidiana specializzata. È una filiera della cura che negli anni si è dimostrata decisiva per ridurre la mortalità della fauna selvatica urbanizzata o colpita dalle attività umane.
Accanto al Canc si colloca un’altra colonna portante di questo sistema, meno visibile per i visitatori ma essenziale per garantire una gestione corretta degli animali protetti: la Cites, il nucleo che applica in Italia la Convenzione di Washington. Ogni rapace, ogni mammifero, ogni esemplare recuperato che rientra negli elenchi delle specie tutelate deve essere gestito secondo protocolli precisi, che riguardano sia il recupero sia l’eventuale stabulazione permanente. Il lavoro della Cites assicura che nessun animale venga trattenuto senza autorizzazione, che ogni trasferimento sia tracciato, che le strutture come l’Oasi possano ospitare specie particolarmente sensibili nel pieno rispetto della normativa. È un sistema di controlli che non ha nulla di burocratico: tutela gli animali dalla detenzione impropria e protegge i centri seri dal rischio di essere confusi con realtà improvvisate.
In questo quadro, l’Oasi degli Animali assume un ruolo che va oltre l’accoglienza. È un terminale indispensabile di un percorso che parte dal territorio, passa dalla professionalità del Canc e approda a un luogo capace di garantire la quotidianità necessaria a un animale che non può essere rimesso subito in natura. È la parte lenta della cura, quella che richiede tempo, costanza, presenza. Ed è anche un punto di riferimento per le istituzioni: Asl, Cites, veterinari, centri di recupero si appoggiano all’Oasi quando serve uno spazio stabile e affidabile.
La morte del falco pellegrino e di Igor, la cornacchia albina, riporta al centro della discussione l’importanza di proteggere non solo gli animali, ma le strutture che li custodiscono. Una rete così complessa funziona solo se ogni nodo è al sicuro. Quando i colpi di fucile arrivano a pochi metri dalle voliere, non si mette a rischio solo la vita degli animali recuperati: si interrompe un circuito di tutela costruito negli anni, che coinvolge università, enti locali, nuclei specializzati e volontari. È un equilibrio delicato, che regge solo se intorno a questi luoghi esiste un margine minimo di rispetto e di protezione.

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