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Cronaca
01 Aprile 2025 - 20:00
Sabato sera. Ore 19 passate da poco. La passerella della stazione di Chivasso, quel ponte pedonale che collega via Caluso a piazza Garibaldi, diventa teatro di un'aggressione che ha il sapore dell'agguato. Un sedicenne, di ritorno dal Bennet dopo un pomeriggio con gli amici, cammina da solo. A metà del ponte lo ferma un ragazzo poco più grande. Gli punta un coltello da cucina all’addome e lo minaccia: dammi i soldi. Il giovane non ha nulla con sé. Apre le tasche, mostra il portafogli vuoto, offre persino il cellulare. L’altro lo afferra per il giubbotto, lo spintona, poi lo lascia andare con un secco vattene. Il ragazzino scappa. Di corsa, nel panico. Incontra un gruppo di giovani e chiede aiuto. Lo riaccompagnano verso la stazione. Intanto chiama il padre, Marcello, che lo raggiunge. Insieme, salgono di nuovo sulla passerella. Lo rivedono: l’aggressore è ancora lì. Appena riconosce il volto del ragazzino, si dà alla fuga. Sparisce.
A raccontare un sabato sera di ordinaria follia alla stazione è Sara, la madre del 16enne aggredito: «Mio figlio è cambiato da sabato. Ha lo sguardo perso, non ha voluto uscire di casa. È nato a Chivasso, come me. Ci sentiamo a casa, conosciamo tutti. Ma adesso ha paura. E io con lui». Dopo l’aggressione, Sara ha chiamato i carabinieri e si è rivolta al consigliere comunale di “Per Chivasso”, Bruno Prestìa, da mesi in prima linea sulla questione sicurezza in stazione. «Mi ha ascoltata, mi ha aiutata», spiega la donna. E annuncia: «Andremo a fare denuncia formale, anche insieme ad un’altra mamma: un amico di mio figlio è stato aggredito, sempre in stazione, forse dalla stessa persona, e gli sono stati rubati dei soldi».
Prestìa non ci gira intorno. «Appena sono stato contattato dalla madre, ho pubblicato un post per rendere pubblico l’accaduto e ho chiesto al comandante della Polizia Municipale se ci fossero telecamere sulla passerella. Mi è stato risposto di no. Il che è scandaloso». Poi snocciola i numeri: «Due agenti in più in servizio, un presidio fino alle 19, a volte anche oltre, e quattro operatori della FS Security per cinque ore al giorno. Ma non basta. Chi delinque ha imparato a studiare gli orari. Aspetta che finisca il turno. Aspetta quel maledetto quarto d’ora senza vigilanza, e colpisce».
E lancia un appello: «Il sindaco, che è responsabile della sicurezza pubblica, non può stare a guardare. Serve un presidio fisso. E noi continueremo a batterci per questo. Anzi, ti anticipo che ho ricevuto una telefonata proprio oggi per un incontro al Ministero. La battaglia va avanti».
Intanto, sulla passerella, il coltello è tornato. Ed è questo il vero allarme.
Perché a Chivasso, la sicurezza in stazione resta una chimera.
E lo dimostrano anche le soluzioni adottate negli ultimi mesi. Alcune ridicole, oltre che inutili. Come quella di chi ha pensato di risolvere il problema del bivacco togliendo le sedie dalla stazione. Via le panche, tutti in piedi: pendolari, anziani, studenti, mamme con bambini. Tanto basta togliere le sedute e il degrado scompare, no? Peccato che non funzioni così. Anzi. La stazione resta sporca, insicura, spesso in condizioni di abbandono. E ora anche senza un posto dove sedersi.
Prima ce n'è stata un'altra, l’ordinanza anti vetro. Dal pomeriggio fino all’alba, vietato portare bottiglie di vino, birra o anche solo una marmellata in vasetto se passi per piazza Garibaldi o piazzale XII Maggio 1944. E' stato così da dicembre a febbraio. Una sorta di proibizionismo in salsa chivassese, firmato dal sindaco Claudio Castello, che colpisce tutti – residenti compresi – senza distinguere tra chi si comporta bene e chi no. La signora Maria che torna dalla spesa col sugo in bottiglia e lo studente che porta un vino a cena dagli amici diventano improvvisamente dei fuorilegge. Il crimine perfetto.
Nel frattempo, nessuno investe seriamente sulla riqualificazione della zona. Niente telecamere sulla passerella. Niente controllo costante. Niente interventi strutturali. Solo toppe. Solo divieti. Solo pannicelli caldi.
Ma la paura resta. E con lei la domanda che nessuno sembra voler affrontare davvero: questa stazione vogliamo renderla vivibile o preferiamo continuare a far finta di niente finché qualcuno si fa male davvero?
Perché non saranno le panchine rimosse o le bottiglie bandite a risolvere il problema. Servono presidi, controlli, investimenti. Serve una visione. Serve, finalmente, il coraggio di guardare in faccia la realtà.
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