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Strage di Brandizzo, il paese pianta cinque alberi per i cinque operai morti sui binari

Nel Parco Bresso un giardino per ricordare i lavoratori della Sigifer

Strage di Brandizzo, il paese pianta la memoria: cinque alberi per cinque vite

Strage di Brandizzo, il paese pianta la memoria: cinque alberi per cinque vite

Domani Brandizzo si fermerà. Nel Parco Bresso, un luogo di quiete tra case, binari e ricordi che non si cancellano, verrà inaugurato il Giardino del Ricordo, dedicato ai cinque operai travolti e uccisi sui binari la notte del 30 agosto 2023. Cinque alberi, uno per ciascuna delle vite spezzate quella notte: Kevin Laganà, 22 anni, Michael Zanera, 34, Giuseppe Sorvillo, 43, Saverio Lombardo, 52, e Giuseppe Aversa, 49. Cinque uomini che lavoravano per mettere in sicurezza la linea ferroviaria Torino–Milano e che invece hanno trovato la morte sul lavoro.

Gli alberi sono stati donati dal sindacato edile Filca Cisl di Torino, nell’ambito della Settimana del Lavoro Sicuro, l’iniziativa promossa dall’associazione Sicurezza e Lavoro insieme al Comune di Brandizzo. Saranno piantumati domani, lunedì 10 novembre, durante una cerimonia che si preannuncia sobria ma carica di significato. Parteciperanno le famiglie delle vittime, i rappresentanti delle istituzioni e del mondo sindacale, i colleghi, i cittadini. Un gesto simbolico, certo, ma anche politico: perché a Brandizzo, ricordare significa rifiutare l’oblio e chiedere giustizia.

«Brandizzo non può e non vuole dimenticare», ha detto la sindaca Monica Durante in una nota stampa, che da oltre un anno guida una comunità segnata da una tragedia tanto assurda quanto evitabile. Il dolore, qui, non si è mai sopito. Ma la memoria si è fatta impegno. Massimiliano Quirico, direttore della pubblicazione Sicurezza e Lavoro, lo ha ribadito con parole che pesano: «In attesa che venga fatta giustizia nelle aule di tribunale, continuiamo a impegnarci per sostenere le famiglie delle vittime e la comunità. Insieme a istituzioni, sindacati e cittadinanza vogliamo fare memoria, per non dimenticare i cinque caduti sul lavoro e gettare un seme di speranza per un futuro più sicuro e dignitoso per tutti».

Un seme, appunto. Non solo quello che domani affonderà le radici nel terreno del parco, ma quello che si spera possa attecchire nelle coscienze. Perché la strage di Brandizzo non è stato un incidente. È stata la conseguenza di un sistema che ha dimenticato la sicurezza, che ha ridotto la prevenzione a burocrazia e la vita dei lavoratori a voce di bilancio.

Quella notte, alle 23.49, gli operai della ditta Sigifer di Borgo Vercelli stavano lavorando su un tratto di binario nei pressi della stazione di Brandizzo. Dovevano sostituire alcuni elementi della linea. Niente di straordinario. Eppure qualcosa non torna. La circolazione ferroviaria non era stata interrotta, e un treno in trasferimento, lanciato a 160 chilometri orari, li travolse senza scampo. Due colleghi, rimasti qualche metro più indietro, riuscirono miracolosamente a salvarsi.

L’inchiesta della Procura di Ivrea, guidata dalla procuratrice Gabriella Viglione, ha ricostruito passo dopo passo quella notte. E ciò che emerge non è un errore singolo, ma una catena di negligenze, omissioni e comunicazioni sbagliate. Le indagini hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati di 24 soggetti, tra cui 21 persone fisiche e 3 società: Rete Ferroviaria Italiana (RFI), Sigifer e CLF di Bologna, la capofila dell’appalto. Le accuse sono di omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario colposo.

Tra gli indagati figurano dirigenti, tecnici e responsabili di cantiere. Secondo la procura, la linea ferroviaria non risultava formalmente bloccata, le procedure di sicurezza erano incomplete, e alcune comunicazioni tra addetti non furono registrate o furono trasmesse in modo ambiguo. In altre parole, i lavori si svolsero come se il traffico ferroviario fosse sospeso, ma nessuno lo aveva realmente interrotto. Un vuoto di responsabilità che, in un sistema di sicurezza efficiente, non dovrebbe esistere.

In un primo momento si era parlato di dolo eventuale, l’ipotesi più grave del codice penale, che avrebbe trasformato l’inchiesta in un processo per omicidio volontario. Ma dopo mesi di analisi, la procura ha escluso questa ipotesi, riconducendo tutto all’ambito del colposo. Ciò non toglie che la colpa, qui, non sia lieve. La catena di comando ha ceduto in più punti, e nessuno ha fermato il treno che avrebbe dovuto essere fermo.

Mentre la giustizia procede, Brandizzo prova a dare un senso al dolore. Il Giardino del Ricordo non è un monumento funebre, ma un gesto di memoria civile. Ogni albero avrà una targa con il nome di un lavoratore. Sarà uno spazio di silenzio e di futuro, dove le scuole potranno portare i ragazzi, dove chi passa potrà fermarsi a capire che cosa significa morire di lavoro nel XXI secolo.

Non è solo un modo per ricordare, ma per denunciare. Per dire che il lavoro deve tornare ad essere un diritto sicuro, non una roulette di turni, appalti e procedure in deroga. Che la fretta e la catena degli appalti non possono valere più di una vita umana.

Domani, sotto le pale che scaveranno nella terra, ci sarà un gesto di ostinata fiducia: piantare qualcosa che durerà. Lo faranno i sindacati, i volontari, i familiari, gli stessi che ogni giorno si chiedono perché e come sia potuto accadere.

A Brandizzo, ricordare non è mai un atto rituale. È un modo per tenere aperta una ferita finché non arriverà una risposta. Perché finché non ci sarà giustizia, la memoria non può riposare.

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