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Cronaca
04 Settembre 2025 - 15:32
È morto Giorgio Armani, 91 anni di eleganza e rivoluzione silenziosa
Giorgio Armani non c’è più. A novantuno anni, lo stilista che ha incarnato e ridefinito l’idea stessa di eleganza italiana si è spento nella sua casa di via Borgonuovo, circondato dai familiari e dal compagno degli ultimi vent’anni, Leo Dell’Orco. A confermarlo è stato il comunicato ufficiale del gruppo: «Con infinito cordoglio, il gruppo Armani annuncia la scomparsa del suo ideatore, fondatore e instancabile motore. Il signor Armani si è spento serenamente, circondato dai suoi cari». Parole che restituiscono la misura di un uomo che fino all’ultimo ha voluto essere presente nel suo lavoro, vigilando sulle collezioni e sui progetti come se il tempo non fosse mai passato.
La camera ardente sarà allestita a Milano, presso l’Armani/Teatro di via Bergognone, nei giorni 6 e 7 settembre, dalle 9 alle 18. Per espressa volontà dello stilista, i funerali si terranno in forma privata. Una scelta coerente con l’idea di discrezione che ha sempre contraddistinto Armani, mai incline al clamore se non quello del suo lavoro.
La parabola di Giorgio Armani è quella di un ragazzo nato a Piacenza l’11 luglio 1934, ultimo di tre figli, che da giovane aveva scelto medicina, affascinato dall’anatomia dei corpi. Eppure proprio quella conoscenza si sarebbe rivelata decisiva anni dopo, quando avrebbe compreso come vestire quei corpi, rendendo gli abiti non armature ma seconde pelli. Dopo un periodo alla Rinascente, negli anni Sessanta fu notato da Nino Cerruti, che gli affidò una linea. Nel 1975, insieme al compagno e socio Sergio Galeotti, nacque l’azienda Giorgio Armani, e con essa un modo nuovo di immaginare la moda.
La sua prima rivoluzione fu liberare le giacche da pesi e imbottiture, rendere i pantaloni fluidi, immaginare donne e uomini non come statue ma come persone in movimento. Nel 1980 arrivò la consacrazione a Hollywood, con gli abiti creati per American Gigolo, film che avrebbe legato indissolubilmente Armani al mito di Richard Gere. Due anni dopo, la copertina di Time lo consacrava icona globale: non un semplice sarto, non un couturier, ma – come lui stesso volle definirsi – uno stilista, parola fino ad allora quasi sconosciuta.
Da lì un crescendo senza interruzioni: Emporio Armani, i profumi, gli occhiali, gli hotel, il design, lo sport con EA7, l’alta moda di Armani Privé. Un impero da miliardi, costruito senza mai perdere l’impronta originaria: sobrietà, coerenza, rifiuto di mode effimere. «Lo stile non è farsi notare, ma farsi ricordare», amava dire.
Ma la sua vicenda non è stata priva di ferite. La più grande, la morte improvvisa di Galeotti nel 1985, che lo trasformò da creativo puro in imprenditore capace di gestire da solo l’azienda. «Ho dato tutto e rinunciato alla mia vita per il mio lavoro», avrebbe confessato anni dopo. Da allora Armani divenne il primo a entrare e l’ultimo a uscire dagli uffici, fino a costruire un marchio tra i più solidi al mondo, rifiutando ogni proposta di acquisizione, dalle prime negli anni Novanta fino alle più recenti.
Negli ultimi anni, pur segnato dall’età e da alcuni problemi di salute, non si è mai fermato. Ha supervisionato collezioni, approvato linee, deciso strategie. Solo un mese fa, nel giorno del suo 91esimo compleanno, aveva sorpreso tutti acquistando la storica discoteca La Capannina di Forte dei Marmi, con un gesto che definì «affettivo, un ritorno alle origini». E ancora pochi giorni prima della morte aveva controllato i look della sfilata per celebrare i 50 anni della maison, prevista alla prossima Milano Fashion Week.
La sua eredità, già pianificata, passa ora nelle mani della nipote Silvana Armani e di Leo Dell’Orco, il compagno e braccio destro che lo ha affiancato fino all’ultimo. Tutto regolato dalla Fondazione Armani, creata proprio per assicurare che il marchio resti fedele alla sua visione.
Armani è stato molto più di un creatore di abiti. È stato il simbolo di una generazione che ha saputo tradurre la sobrietà italiana in un linguaggio universale, portando l’eleganza made in Italy in ogni angolo del mondo. Ha vestito star, politici, sportivi, ma soprattutto ha cambiato il modo in cui milioni di persone percepiscono se stesse davanti allo specchio.
Con lui se ne va un pezzo di storia non solo della moda, ma della cultura del Novecento e del nuovo millennio. «Io sono il mio lavoro», disse una volta, rispondendo a chi gli chiedeva perché non si fermasse mai. Oggi quella luce si è spenta, ma resta l’impronta indelebile di un uomo che ha insegnato che l’eleganza non ha tempo.
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