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03 Settembre 2025 - 20:30
Non sono state le parole solenni, né i missili in parata, né i proclami di Xi Jinping a segnare l’immaginario collettivo della giornata di Pechino. L’immagine destinata a restare impressa dell'incontro del 3 settembre è quella dello staff di Kim Jong-un che, dopo il bilaterale con Vladimir Putin, ha ripulito minuziosamente ogni superficie, cancellando ogni possibile traccia del leader nordcoreano. Maniaci della pulizia? Eccesso di scrupolo? Più probabilmente, una strategia deliberata per impedire che resti biologici o frammenti di DNA possano finire nelle mani sbagliate, almeno secondo quanto ipotizzato dall'americana CNN.
La scena si è consumata dietro le porte chiuse del vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), dove Putin e Kim si sono incontrati prima di partecipare, fianco a fianco con Xi, alla parata militare per gli 80 anni dalla resa giapponese. Ma più che l’abbraccio o le dichiarazioni di amicizia, è stato il lavoro metodico dei collaboratori nordcoreani a catturare l’attenzione dei presenti.
Dopo che Kim ha lasciato la sala, i membri della delegazione hanno strofinato tavoli, sedie, maniglie, passando panni e detergenti su ogni superficie toccata dal leader. Un rituale ripetuto con maniacale attenzione, al punto da far sembrare l’incontro un set abbandonato dopo una rappresentazione teatrale. Questo è quanto immortalato dal giornalista russo Yunashev e diffuso su Telegram.
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Dietro questo comportamento si cela una logica ferrea: non lasciare nulla al caso. Nel linguaggio della sicurezza nordcoreana, anche un capello o un frammento di pelle possono diventare informazioni preziose se analizzati da laboratori stranieri. Per Pyongyang, la vulnerabilità biologica del leader equivale a un rischio politico e strategico.
Il controllo ossessivo sul DNA di Kim non è una novità assoluta, ma a Pechino ha assunto una dimensione spettacolare. Il fatto che la delegazione abbia agito subito dopo il bilaterale con Putin, uno degli uomini più sorvegliati e temuti del pianeta, dimostra fino a che punto arrivi la sfiducia nordcoreana. Nemmeno l’alleato russo, con cui Kim ha appena firmato patti di mutua difesa, è escluso da questo protocollo di sicurezza.
Un gesto che dice molto più di mille dichiarazioni ufficiali. Da un lato, il regime nordcoreano cerca visibilità internazionale, stringe mani, partecipa a eventi multilaterali da cui era sempre stato escluso. Dall’altro, mostra al mondo la sua ossessione per il controllo, la paura che anche un dettaglio biologico possa trasformarsi in un’arma contro il leader supremo.
E così, mentre Xi parlava di «pace o guerra» e Putin ringraziava i soldati nordcoreani per il loro «coraggio ed eroismo», l’immagine che resta è quella di un drappo di velluto strofinato su un tavolo di marmo, per cancellare ogni possibile impronta.
La parata conclusiva, con i suoi 10 mila soldati e le file interminabili di missili, avrebbe dovuto rappresentare il culmine della giornata. Ma agli occhi degli osservatori occidentali, la vera scena madre è stata quella della pulizia ossessiva, che ha trasformato la diplomazia in un’operazione di sanificazione.
L’invito di Xi a Kim, nonostante la Corea del Nord non faccia parte della SCO, aveva già destato interrogativi sulla nascita di nuovi equilibri geopolitici. La marcia a tre sotto la Porta della Pace Celeste è sembrata una dichiarazione di intenti contro l’Occidente. Ma la pulizia maniacale dello staff nordcoreano ha gettato un’ombra su quell’immagine di unità, ricordando che la fiducia, in questo triangolo, non è mai totale.
Perché se è vero che i tre leader condividono interessi comuni – dalla guerra in Ucraina al fronte contro Washington – resta altrettanto vero che ciascuno gioca la propria partita. E nel gioco di Kim, la regola è semplice: «fidarsi è bene, non fidarsi è meglio».
In fondo, il leader nordcoreano ha costruito la propria sopravvivenza politica su questa filosofia. Nessun dettaglio può essere trascurato, nessuna impronta lasciata indietro. La paranoia diventa protocollo, e il protocollo si trasforma in spettacolo geopolitico.
A Pechino, tra bandiere rosse e discorsi solenni, la vera lezione di giornata è arrivata da una squadra di collaboratori armati di panni e disinfettanti. Non erano lì per pulire la polvere, ma per cancellare ogni traccia di Kim Jong Un dal mondo esterno. Un gesto che vale più di tante analisi: mostra un regime che, pur aprendosi in pubblico, resta chiuso nella sua ossessione per il controllo totale.
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