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20 Giugno 2025 - 14:57
“Carissimo Vescovo Roberto, siamo un gruppo di bambini della parrocchia Maria Madre della Chiesa che frequentano la scuola parentale Beato Pier Giorgio Frassati. Vi scriviamo con il cuore triste per dirvi quanto siamo dispiaciuti da quando abbiamo saputo della notizia sui nostri padri dell’IVE. Voi dite che devono andarsene, ma noi diciamo il contrario: per noi sono una grande risorsa. Come Padre Giuseppe, che ogni mattina prega con noi una decina del rosario, ci benedice, ci insegna cose sul cristianesimo con allegria e ci prepara alla Confessione e alla Comunione. E poi l’oratorio… è un momento bellissimo! Giochiamo insieme: quattro basi, palla prigioniera, dodgeball, ruba bandiera... E le processioni per la Madonna di Fatima? Sono splendide. Ogni sabato recitiamo il Rosario per la nostra Mamma Celeste. Speriamo che Dio vi illumini su ciò che è giusto.”
Firmato: I bambini della scuola Beato Pier Giorgio Frassati.
Parole semplici, scritte con la grafia incerta dei più piccoli, ma che toccano il cuore più di qualsiasi comunicato ufficiale. E non è una lettera isolata. All’ufficio della curia di Torino, nelle ultime settimane, ne sono arrivate a decine. Lettere di bambini, genitori, catechisti, ragazzi. Tutti con lo stesso grido: “Non mandate via i nostri padri”.
Qualcosa di profondo sta accadendo nella diocesi di Torino. Un terremoto silenzioso, che scuote l’anima di due comunità parrocchiali: Maria Madre della Chiesa e Beato Pier Giorgio Frassati. Da anni, queste due realtà sono affidate alla guida spirituale dei religiosi della Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato (IVE): tre sacerdoti e tre suore, sei consacrati che ogni giorno vivono, pregano e camminano con il popolo di Dio. Ma ora, tutto questo sta per finire.
Il 1° settembre 2025 sarà l’ultimo giorno. Poi, l’addio. La decisione è stata presa dall’arcivescovo di Torino, Cardinale Roberto Repole, che ha scelto di revocare la convenzione firmata nel 2017 tra la diocesi e l’IVE. Una scelta unilaterale, comunicata in modo freddo, senza alcun confronto con i laici, senza ascolto, senza dialogo. Un atto che ha lasciato sgomente le comunità, travolte da un senso di abbandono e di ingiustizia.
E così, nel silenzio istituzionale, sono stati proprio i laici a prendere la parola. A partire dal Consiglio Pastorale Interparrocchiale, che ha scritto una lunga, commossa lettera al cardinale: “Abbiamo riscoperto, grazie a questi sacerdoti, la bellezza di una comunità viva, unita nella preghiera, nell’amicizia cristiana e nel servizio reciproco. Le parrocchie non sono edifici, ma case abitate da pastori che conoscono le loro pecore e se ne prendono cura con amore evangelico”.
I loro nomi sono Padre Giuseppe Calvano, Padre Giuseppe Danilo Palumbo e Padre Alessandro Parrella. Non sono solo sacerdoti: sono volti familiari, mani tese, sorrisi che accolgono, parole che consolano. Sono guide spirituali che hanno accompagnato centinaia di fedeli nei momenti più bui, ridato fede a chi l’aveva perduta, costruito legami, acceso vocazioni, guarito ferite.
Nel frattempo, una petizione popolare ha superato le 1.400 firme in pochi giorni. È un’iniziativa dal basso, nata spontaneamente, senza sigle né slogan, solo dal desiderio di essere ascoltati. “Questi sacerdoti sono diventati per molti di noi padri spirituali, testimoni autentici della fede. Hanno saputo guidarci con pazienza e amore”, scrivono.
Ma la ferita più profonda è nel metodo, non solo nel merito. “Nessun laico è stato coinvolto nel processo decisionale. La notizia ci è piovuta addosso. Si parla tanto di sinodalità, ma questa scelta è l’opposto”, si legge nella lettera. Un'accusa difficile da ignorare: quella di incoerenza tra i princìpi dichiarati dalla Chiesa e le modalità con cui vengono prese decisioni cruciali.
E i più colpiti sono i più piccoli. Bambini che si sentono strappare figure di riferimento, affetti, amici. “Ma perché ce li portano via?”, chiedono. Una domanda che nessuno ha ancora avuto il coraggio di affrontare con sincerità.
C’è una mamma che ha scritto: “Togliere questi sacerdoti è come togliere l’anima alle nostre parrocchie”. Un papà si interroga: “Abbiamo una crisi vocazionale e mandiamo via tre sacerdoti giovani, preparati e pieni di zelo?”. Una catechista osserva con amarezza: “Sono le uniche suore che ogni giorno accompagnano i bambini. E ora le allontanate?”
Il Codice di Diritto Canonico (Can. 212) riconosce ai fedeli il diritto di manifestare ai pastori le proprie necessità, soprattutto spirituali. È quello che queste comunità stanno facendo: non una rivolta, ma una supplica. Hanno chiesto una possibilità di dialogo. Hanno proposto soluzioni: mantenere almeno una parrocchia all’IVE, o assegnarne un’altra. Nulla.
E mentre settembre si avvicina, il tempo sembra correre inesorabile. Ma le comunità non si arrendono. Pregano. Scrivono. Raccolgono firme. Sperano. E continuano a raccontare, con parole vere, la bellezza vissuta accanto ai loro padri spirituali. In quelle parole c’è ancora fede. E soprattutto, c’è un amore ferito che chiede solo di essere ascoltato.
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