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Il "Verbo incarnato" non si tocca. Guerra aperta al cardinale Repole

I fedeli insorgono contro la cacciata dei religiosi del Verbo Incarnato: “Avete estirpato una comunità viva per servire logiche di potere. Ma noi non taceremo”

Il "Verbo incarnato" non si tocca. Guerra aperta al cardinale Repole

Il Cardinale di Torino Repole

A Torino l’aria si è fatta incandescente. E non per colpa del cambiamento climatico. Da quando l’Arcidiocesi ha annunciato "sottovoce", senza troppo clamore ma con effetti dirompenti, l’uscita di scena dei religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato da due parrocchie della città – Maria Madre della Chiesa e Beato Pier Giorgio Frassati – si è scatenato l’inferno. Non nei salotti curiali, dove l’eleganza delle decisioni si misura in comunicati calibrati al millimetro. Ma nelle caselle di posta elettronica de "La Voce", nei gruppi WhatsApp, nei confessionali e nei cuori di chi quelle parrocchie le vive ogni giorno. E ora alza la voce. Forte. Con parole che suonano come uno schiaffo alla Curia: “Siete voi fuori linea, non loro”.

"Perché stavolta non si tratta solo di un cambio di parroco..." dicono. No! È qualcosa di più profondo. I fedeli – centinaia, forse migliaia – si sono sentiti colpiti in qualcosa di intimo. E ora rispondono con la stessa forza con cui si difende una famiglia. “Questa è una comunità viva, vibrante, accogliente, dove si respira fede, non si sostituisce con una firma da protocollo”, scrive Marilena, catechista. E non è la sola.

Le reazioni sono arrivate come grandine: fitte, improvvise, dolorose. Rossella si dice “sconcertata” per l’attacco mediatico e chiede “delucidazioni su una teologa che si è permessa di giudicare una realtà che non conosce”. C’è chi – con sarcasmo e rabbia – punta il dito contro la presunta freddezza della diocesi: “Meglio le chiese morte che non disturbano nessuno?”, si chiede Ivana, indignata per ciò che percepisce come una volontà di estirpare una comunità viva e operante solo perché troppo… cattolica.

Perché, diciamolo chiaramente, il nodo sta tutto lì. Il Verbo Incarnato, stando ad alcuni (e sono tanti), rappresenterebbe una delle poche esperienze ecclesiali capaci di rigenerare una comunità in senso tradizionale: messe curate, sacramenti vissuti con intensità, oratori funzionanti, vocazioni fiorite. Ma è proprio questo che sembra dare fastidio a qualcuno.

“Sessanta persone nel terz’ordine laico. Dieci vocazioni in sette anni. Fedele adesione al Concilio Vaticano II. Ma di cosa stiamo parlando?”, incalza Simone, con toni che lasciano poco spazio al dubbio.

Lo scontro non è solo liturgico, è teologico, ecclesiale e profondamente politico. I fedeli non accettano l’etichetta di “tradizionalisti fuori linea” cucita addosso ai religiosi dell’Istituto. Non la riconoscono. “Chi scrive queste cose non sa di cosa parla”, dicono. “Mai una messa in Vetus Ordo, mai un sacerdote di spalle, tutto secondo il rito ordinario, solo fatto bene”. E non solo: “Questi preti ci sono. Hanno costruito qualcosa. Non è un’accusa: è un fatto”.

L’uscita di scena – programmata per giugno – è dunque vista come una rimozione per incompatibilità ideologica, altro che “ristrutturazione pastorale”. È la vendetta fredda di un sistema che non tollera eccezioni, soprattutto se funzionano. “La diocesi è piena di parrocchie vuote, dove i preti sono fantasmi e le Messe sono tristi liturgie da ufficio postale. Ma lì nessuno interviene”, accusa un’altra parrocchiana. “Si colpisce chi ha il torto di piacere alla gente”.

Sul banco degli imputati, oltre ai comunicati ufficiali, finisce anche il cardinale Roberto Repole. “È guerra aperta”, dicono molti. Perché la questione è diventata personale, esistenziale. Un attacco non solo ai religiosi, ma a un modo di vivere la fede. “Una fede incarnata, come il nome dell’istituto che volete cancellare. Ma che non si cancella con una firma”.

La sensazione è che la battaglia sia solo all’inizio. Non saranno i fedeli a farsi da parte. Si prospettano petizioni, lettere aperte, appelli pubblici. E anche un invito – o forse una provocazione – lanciato direttamente ai giornalisti: “Venite a vedere. Venite a toccare con mano. Non giudicate dal pulpito, ma dal banco della chiesa”. Come a dire: i pastori stanno lasciando. Ma le pecore, stavolta, non se ne stanno zitte.

parroco

L’Istituto del Verbo Incarnato: origini, struttura e controversie

Il Verbo si è fatto carne (Verbum caro factum est). Da questa espressione evangelica prende il nome l’Istituto del Verbo Incarnato (IVE), fondato nel 1984 in Argentina da padre Carlos Miguel Buela. L’obiettivo dichiarato alla nascita era quello di “evangelizzare la cultura” nel solco del Concilio Vaticano II e del magistero della Chiesa cattolica.

La struttura dell’Istituto prevede una componente maschile, formata da sacerdoti e fratelli consacrati, affiancata da un ramo femminile – le Serve del Signore e della Vergine di Matarà – e da un laicato aggregato in un terz’ordine. L’identità dell’IVE si fonda su una visione fortemente centrata sulla liturgia, sull’ortodossia dottrinale e sull’idea di formare comunità coese attorno alla pratica sacramentale e alla spiritualità mariana.

In pochi decenni, il Verbo Incarnato si è diffuso in una trentina di Paesi, operando in America Latina, Europa, Asia e Medio Oriente, talvolta in contesti sociali e religiosi complessi. Una crescita rapida che ha attirato attenzione e, nel tempo, anche diverse segnalazioni critiche.

Sul piano liturgico, i religiosi dell’Istituto celebrano nel rito ordinario della Chiesa (Novus Ordo), talvolta con l’uso del latino, ma non nel cosiddetto “rito straordinario” (Vetus Ordo), che richiede autorizzazioni specifiche secondo le disposizioni del motu proprio Traditionis Custodes di Papa Francesco. Il loro stile liturgico è spesso percepito come rigido o particolarmente formale da alcuni ambienti ecclesiali, pur non configurandosi come disobbedienza alle norme vigenti.

Nel 2024, il Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata ha avviato un percorso di vigilanza e accompagnamento canonico, nominando due delegati pontifici e imponendo un moratorium triennale per l’ingresso di nuovi membri. Le criticità sollevate riguardano soprattutto la formazione interna, il funzionamento del governo centrale e il rapporto tra le comunità locali dell’istituto e le diocesi ospitanti.

In Italia, l’IVE è presente in diverse diocesi, tra cui Torino, dove fino al 2025 ha gestito le parrocchie Maria Madre della Chiesa e Beato Pier Giorgio Frassati. La decisione della diocesi torinese di interrompere la loro presenza rientra in un più ampio riassetto pastorale, ma ha provocato reazioni molto forti da parte di numerosi fedeli, che denunciano un clima di incomprensione e una scelta ritenuta più ideologica che pastorale.

L’Istituto continua a suscitare posizioni contrastanti: per alcuni rappresenta una proposta cattolica coerente e identitaria; per altri un modello rigido, poco integrato nelle dinamiche ecclesiali locali. In ogni caso, il dibattito resta aperto.

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Commenti all'articolo

  • Giuseppe Di Longo

    27 Maggio 2025 - 14:29

    Spett.le Redazione de La Voce, trovo molto poco professionale che il sig. La Mattina pubblichi nomi e cognomi di lettori che hanno scritto alla Redazione per segnalare imprecisioni e errori pubblicate in un altro articolo dello stesso giornalista. Ha verificato di avere il consenso e l'autorizzazione degli interessati per pubblicare i nominativi e quanto scritto dai lettori?

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