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L'intervista
27 Luglio 2023 - 12:35
Lo abbiamo fermato mentre scendeva dal palco dopo che una folla in visibilio l'aveva acclamato. Da qualche minuto, Tom Morello era cittadino onorario di Pratiglione, 400 abitanti nella Val Gallenca. "È bellissimo essere a casa, e vedere tutte queste persone qui ad accogliermi è travolgente".
Poi gli organizzatori dell'evento riescono a concederlo ai giornalisti per qualche minuto, giusto il tempo per fargli un paio di domande a testa. "Un messaggio che ho sempre lanciato in trent'anni di musica e di attivismo - spiega il chitarrista a un collega - è che il mondo non cambierà da solo: it's up to you [dovrai farlo tu]".
Un imperativo morale che il chitarrista ha sempre perseguito, senza farsi problemi a sfoggiare posizioni radicali e anti-establishment.
Nel 2017, quando dalla CNN gli chiesero di rispondere alle voci che targavano l'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il senatore democratico e socialista Bernie Sanders come gli unici ad essere "against the machine", lui replicò senza mezzi termini: "Il sistema non può essere aggiustato dal sistema".
Nel 2016, durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali, Morello definì la candidata democratica Hillary Clinton, che si opponeva a Donald Trump, come "il minore dei due mali", ricordando però che la Clinton supportò le campagne belliciste degli Stati Uniti in Medio Oriente che vi portarono instabilità e povertà.
A Pratiglione Morello ha parlato anche di musica. L'ha fatto quando gli è stato chiesto cosa ne pensasse dei giovani musicisti che oggi affollano i parterre di tutto il mondo con sonorità e temi nuovi: "Penso che a 59 anni non sia giusto dire ai 16enni che tipo di musica fare - racconta lui - ad ogni modo, quello che ho visto qui oggi, ad esempio, mi è piaciuto molto".
Arriva il nostro turno, e gli chiediamo una battuta sul tema della guerra, che pure i Rage Against The Machine, gruppo di cui Tom Morello è stato tra gli animatori principali negli anni '90, ha trattato più volte. Da un anno e mezzo la guerra non è più soltanto qualcosa di cui noi europei sentiamo vaghi echi lontani da continenti che ci sembrano poco interessanti.
Ora la guerra è diventato un gioco pericoloso per tutta l'Europa. L'epicentro è a Kramatorsk, a Mykolaiv, a Luhansk, a Kiev. Ma gli spettri di un terzo conflitto mondiale riguardano tutti: da Tbilisi a Lisbona, da Yerevan a Parigi, da Chisinau a Roma. Ora tutti gli europei temono la guerra e la guardano con occhi diversi.
"Tutto quello che la gente vuole è vivere una vita decente, con cibo, acqua, istruzione e giustizia" spiega il chitarrista. E la guerra "è l'antitesi di tutto ciò". Morello ha un'idea precisa delle cause che portano i popoli a combattersi. Popoli che parlano idiomi appartenenti allo stesso ceppo linguistico (come russi e ucraini, o persino russi e ucraini russofoni) che si ammazzano a vicenda per conquistare un pezzo di mondo.
"La storia della guerra - dice - coincide con quella della classe operaia che viene presa in giro da chi detiene il potere: i poveri vengono costretti a combattersi gli uni contro gli altri". È la stessa chiave di lettura che si ritrova in capolavori dell'antimilitarismo come il film del 1970 Uomini contro, o la pellicola del 1956, firmata Stalney Kubrick, Orizzonti di gloria.
Altro tema caro alla storia musicale e politica dei gruppi di cui Morello ha fatto parte è quello del razzismo di stato: un tema caro anche ai Public Enemies, altro gruppo antisistema statunitense che ha fatto la storia dell'hip hop mondiale negli anni '80 e '90. Assieme a loro e a B-Real dei Cypress Hill, infatti, Morello ha creato nel 2016 i "Prophets of Rage", gruppo con cui ha realizzato l'anno successivo un omonimo album.
"C'erano moltissimi pregiudizi - ci ha raccontato Morello - contro la nostra famiglia quando emigrò negli Stati Uniti. All'epoca i miei antenati vivevano in case piccolissime e non parlavano inglese. Quello che dobbiamo capire è che l'integrazione dei migranti nella società è ciò che la rende più ricca e bella. Il razzismo non è nato con noi, ma è qualcosa che viene alimentato dai politici per dividere la classe operaia sudanese da quella polacca o italiana, nonostante tutte le aspirazioni che hanno in comune".
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