Cerca

Pagine di storia

L'asino, il panettiere e la truffa: intrighi e misfatti nel buio della notte di Rivarolo

Tratto dal libro di Milo Julini, Stòrie dla forca. Stòrie dij bòia. Impiccati ed esecutori di giustizia in Piemonte. 1850-1871, Libreria Piemontese Editrice, Torino 2000

L’aggressione sulla strada per Ciconio

L’aggressione sulla strada per Ciconio

Nel tardo pomeriggio del 7 marzo 1857, in una osteria di Rivarolo Canavese, Bartolomeo Bernardi, erbivendolo di Foglizzo, è pronto a partire col suo piccolo carretto tirato da un asinello.

Bernardi viene però trattenuto nell’albergo perché gli è stata fatta da un panettiere la proposta di vendere il suo carretto, quando vede arrivare Giovanni Boggio che gli offre, per conto del panettiere, in pronto pagamento due monete da ventinove lire più due lire. 

L’offerta di Giovanni Boggio, abitante di Lusigliè.

Giovanni Boggio si è dimenticato che è sempre meglio non ostentare denaro (Fé vëdde ij sòld, a l’é fé vëdde ‘l cul: mostrare i soldi è come mostrare il culo), e mentre si trova vicino al carretto di Bernardi, estrae parecchie altre monete d’oro: monete che vengono osservate da Bernardi e da un suo amico che si trova sdraiato sul carretto.

Da quel momento Bernardi e questo suo amico non si staccano più dai fianchi di Boggio:  Bernardi si offre con premura di accompagnarlo a Lusigliè, dove Boggio abita, anche se sul suo piccolo carretto tre persone non si possono sistemare comodamente: così Bernardi si siede nell’interno, Boggio si mette a cavalcioni su una delle stanghe mentre sull’altra si piazza l’amico.

Verso le sette della sera di quel 7 marzo, il carretto percorre la strada che collega Rivarolo a Ciconio, quando, nella regione Feira, in vicinanza del pilone detto della Madonna di Oropa, all’improvviso l’amico di Bernardi scende dal carretto, senza dire una parola e, a breve distanza, appare un malintenzionato armato di bastone: al chiarore della luna che splende, malgrado un po’ di nebbia, Boggio riconosce lo stesso individuo che poco prima viaggiava con lui sulla stanga del carretto.

L’aggressione sulla strada per Ciconio.

Il malfattore si avventa su Boggio, lo bastona ripetutamente, provocandogli la rottura dell’avambraccio sinistro e varie altre ferite, poi gli sottrae un orologio d’argento del valore di sessanta lire, un portamonete del valore di settantacinque centesimi contenente circa dodici lire e un piccolo coltello a serramanico del valore di una lira. 

Bernardi durante questa aggressione non ha mosso un dito e, poco dopo, racconta al malconcio Boggio che, a breve distanza, è stato assaltato anche lui da tre malfattori. Giovanni Boggio, insanguinato e malconcio, riesce a giungere a casa sua a Lusigliè, poi sporge denuncia della grassazione subita, assai poco convinto del racconto fatto da Bernardi.  

Bartolomeo Bernardi, detto Caccia.

Dopo due giorni, il 9 marzo è arrestato il proprietario del carretto, Bartolomeo Bernardi, detto Caccia, di quaranta anni: la sua passività durante l’aggressione è sembrata sospetta anche agli inquirenti. Questi ritengono che lui e il suo compagno, identificato come Giovanni Zanolo,  dopo aver visto il denaro di Boggio, abbiano deciso di derubarlo: a questo scopo avevano escogitato lo scomodo trasporto sul carretto, cosa che Bernardi non aveva mai fatto in altre occasioni. 

Zanolo aveva agito e Bernardi aveva collaborato rimanendo inattivo durante l’aggressione, poi si era inventato di essere stato assalito anche lui: a Boggio ha detto che gli aggressori erano tre; in seguito, nel corso dell’istruttoria li riduce a due mentre persiste a dichiararsi innocente.

Viene comunque accusato di grassazione a mano armata con ferimento, commessa in complicità con il latitante Giovanni Zanolo, con l’aggravante della recidività.

Le monete d’oro in una scarpa. 

Il solo Bernardi viene processato sul finire dello stesso anno, dalla Corte di Appello di Torino, nella prima sezione criminale, di cui è Presidente il conte e commendatore Alessandro Pinelli. 

Il suo presunto complice Giovanni Zanolo rimane latitante.

Le accuse all’imputato vengono da sospetti espressi da Giovanni Boggio circa le intenzioni dei suoi compagni di viaggio, sospetto ispiratogli dal loro contegno e dimostrato dall’aver nascosto alcune monete d’oro dentro una scarpa, come dichiara anche sua moglie, narrando che se ne era accorta quando lo aveva spogliato per metterlo a letto appena giunto a casa tutto malconcio.

Boggio sostiene che il latitante che lo ha ferito e derubato ha agito in accordo con l’accusato e la sua versione appare più credibile di quella di Bernardi che pretende di essere stato aggredito anche lui, dicendo anche al dibattimento che gli aggressori erano due. 

Ma di queste persone non fornisce il minimo indizio e non è in grado di contraddire Boggio sul particolare del suo assalto operato da una sola persona. Finisce anzi per confermarlo, quando esprime il sospetto che Boggio sia stato assalito per un alterco col cameriere dell’osteria alla partenza. Ma di questo fatto il dibattimento non fornisce la minima conferma.

Bernardi dichiara anche che il suo contegno passivo era dovuto ad uno stato di indisposizione fisica, ma non ne dà prove e, secondo i giudici, questa affermazione è smentita dal suo aspetto.

La sentenza di morte.

Secondo i giudici, è provato che Bernardi non era ignaro del progettato assalto, anzi vi ha cooperato trasportando sul suo carro la vittima designata con l’aggressore ed ha così fornito un efficace aiuto per l’ora crepuscolare e la località resa pericolosa dall’ombra delle piante. Se durante la grassazione Bernardi è restato passivo, questo non basta per togliere al suo comportamento il carattere di cooperazione, perché in quel momento era impossibile a Boggio sfuggire alla trappola. A questo bisogna aggiungere come, senza l’accordo precedente, non sarebbe ricorso alla gratuita invenzione di una grassazione; assume quindi il ruolo di autore principale e non solamente di complice.

Colpevole, dunque, di un reato da pena capitale, come prevede il Codice penale per una grassazione accompagnata da lesioni che costituiscono un crimine, cioè la frattura dell’avambraccio, secondo il parere espresso durante l’istruttoria dal medico perito.

Con sentenza del 1° dicembre 1857, i giudici condannano Bartolomeo Bernardi a morte.

La Corte di Cassazione, l’8 febbraio 1858 respinge il ricorso: il criterio impiegato dai giudici per stabilire la caratteristica di autore principale e di complice non è censurabile in Cassazione.

Il 3 marzo 1858, il re concede a Bartolomeo Bernardi la grazia della commutazione della pena di morte in quella dei lavori forzati a vita, successivamente ridotti, il 15 ottobre 1871, a trent’anni dalla data della sentenza.

Come dice il proverbio piemontese, chi ch’a fà, a fala (1), chi fa è soggetto a sbagliare. Bernardi aveva invece pagato a caro prezzo la colpa di non avere fatto nulla al momento di un delitto.

Note

1. Chi fa, sbaglia (proverbio piemontese).

Tratto dal libro di Milo Julini, Stòrie dla forca. Stòrie dij bòia. Impiccati ed esecutori di giustizia in Piemonte. 1850-1871, Libreria Piemontese Editrice, Torino 2000.

PAGINE DI STORIA

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori