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04 Giugno 2023 - 15:45
Il rapimento di Lucia visto dal piemontese Francesco Gonin (1808-1889)
In un paesotto della provincia profonda, Lucy e Larry, due pischelli di buoni sentimenti, desiderano mettere su famiglia e avviare una piccola attività economica. Però la ragazzotta è stalkerata da un boss che si considera onnipotente e non tollera di essere respinto. L’uomo incarica alcuni picciotti di sequestrare Lucy e d’intimidire le autorità del luogo.
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Alessandro Manzoni
Sperando di sfuggirgli, la pischella si separa dal proprio partner e trova rifugio in una comunità di accoglienza, la cui responsabile, Trudy, è ricattata da Gilles, un poco di buono al quale la lega una torbida relazione. Invece di proteggerla, la donna consegna la malcapitata a un boss ben più temibile dell’altro e avvezzo a farsi platealmente beffe di giudici e forze dell’ordine.
Incavolato nero, Larry si lascia coinvolgere in una violenta manifestazione contro il caro-bollette e viene scambiato per un leader dei facinorosi: nei suoi confronti, la magistratura emana un ordine di cattura. La situazione generale non lascia spazio all’ottimismo: lobby e consorterie influenzano i pubblici amministratori; nei mass media imperversano radical-chic, influencer e triviali opinionisti; i giudici si rivelano incapaci di applicare le troppe e incoerenti leggi; la cultura è monopolio di pallosi intellettualoidi il cui unico problema è di mostrarsi politicamente corretti. Nel frattempo, le relazioni diplomatiche internazionali si deteriorano e dilaga una mortale pandemia di Covid-19. L’opinione pubblica è disorientata dalle fake news: alcuni prestano fede ai complottisti, altri si dichiarano no-vax, altri ancora se la prendono coi governanti e i sanitari che stentano a gestire l’emergenza. In tanto casino si distingue un prete di strada che assiste sbandati, homeless, tossici e nuovi poveri.
Non c’è dubbio, il romanzo di maggiore attualità del 2022 è apparso poco meno di due secoli fa, tra il 1825 e il 1827. Il suo autore, Alessandro Manzoni, familiarmente chiamato «Don Lisander» sotto la Madonnina, lo intitolò «I promessi sposi». Il sottotitolo, «Storia milanese del secolo XVII», può facilmente adattarsi alla contemporaneità e diventare «Una storia dei nostri tempi».
Perché il più famoso romanzo della letteratura italiana va ben oltre la vicenda originaria, ambientata nella Lombardia secentesca sotto la dominazione spagnola, e affronta tematiche modernissime: l’asprezza dei rapporti sociali, il malcostume politico, il caos legislativo e la conseguente tendenza a trasgredire le regole, la connivenza dell’autorità costituita coi poteri forti, la remissività dei corpi intermedi, il radicamento della delinquenza organizzata e l’ottuso giustizialismo, l’ostentata ricchezza di pochi e l’indigenza di molti, il richiamo alle responsabilità individuali e così via.
Non diversamente da quella odierna, la società che Manzoni descrive in modo mirabile nel suo romanzo storico è pervasa dalla brama di possedere e di apparire, inadeguata a incarnare i grandi ideali della condizione umana, incapace di riconoscere il male e di opporvisi.
I don Rodrigo, gli Azzeccagarbugli, le Gertrude e i don Abbondio del nostro tempo si presentano con nomi differenti, però si comportano da don Rodrigo, Azzeccagarbugli, Gertrude e don Abbondio. Nel ventunesimo secolo, in maniera apparentemente dissimile da ciò che accadde a Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, ma fin troppo somigliante a un’attenta analisi, i giovani devono superare numerosi ostacoli per costruirsi un futuro. Vi si oppone la difficoltà di ottenere un lavoro stabile, di essere autonomi, di trovare solidi punti di riferimento, di crescere i figli, di accedere al credito e di sottrarsi al conformismo delle mode che promuovono visioni edonistiche della vita. Muta il contesto, insomma, ma non la sostanza.
«I promessi sposi» sono un romanzo avvincente. Vi si ritrovano vita e morte, amore e odio, lealtà e tradimento, fede e scetticismo, certezze e dubbi, virtù e vizi, vendetta e perdono, passionalità e freddezza, furore e quiete, ma anche buonsenso, cultura dotta e popolare, suspense e colpi di scena, insuccessi, grettezze, demagogia, umorismo, speranze e nobiltà d’animo.
In termini più espliciti, il romanzo di Alessandro Manzoni propone un’attendibile e raffinata rappresentazione del carattere nazionale che non è ascrivibile a una sola epoca – la prima metà del diciassettesimo secolo – ma travalica il tempo e la storia. «I promessi sposi», in definitiva, si occupano di noi, uomini e donne del ventunesimo secolo, e ci inducono a confrontarci con la nostra coscienza.
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