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Bagnaia da bomber: pole, fuga e Sprint in tasca

Bagnaia domina la Sprint in Malesia: pole dal Q1, abbassatore ko, Acosta sul podio, Alex Marquez vice-iridato

Pecco Bagnaia

Il sorriso tirato di Pecco Bagnaia sul podio del Gran Premio della Thailandia dopo il secondo posto dietro Jorge Martin

Quando la partita si fa dura, a chi dai il pallone dell’azione decisiva? In Malesia la risposta è stata semplice: Pecco Bagnaia. Ha preso il controllo del match fin dal fischio d’inizio, ha verticalizzato il suo ritmo e ha messo la gara in cassaforte con la freddezza del nove d’area che non sbaglia la palla-gol. Un weekend come questi? Ce ne sarebbero serviti di più in stagione, perché tra Sprint conquistata e pole del mattino costruita passando pure dal Q1, il campione italiano ha mostrato una volta di più la sua onestà intellettuale e, soprattutto, la sua feroce efficacia quando la squadra lo mette nelle condizioni giuste.

Passare dal Q1 non è mai un’autostrada; è più un corridoio affollato, dove basta un rimpallo per rimanere fuori. Bagnaia lo ha affrontato come una squadra che va a prendersi l’avversario nell’area piccola: pressione alta, attenzione ai dettagli, zero fronzoli. Risultato? Pole del mattino, ovvero la migliore posizione di partenza per imporre il proprio piano gara e far capire a tutti che il pallone, oggi, lo gestiva lui.

Una volta spenti i semafori, il canovaccio è stato quello che a Pecco piace di più: partire forte, scappare, rendersi imprendibile per tutti. Il suo tema-tattico preferito, scritto come si fa con un contropiede perfetto: primo controllo orientato, seconda accelerazione, poi il vuoto. La Sprint si è trasformata in un monologo, con il pubblico a contare i metri e gli inseguitori a masticare amaro. E pensare che non tutto ha filato liscio: l’abbassatore posteriore ha funzionato solo in partenza e poi non più. Una scivolata tecnica che avrebbe potuto complicare la gestione. Non per lui.

LA VOCE DEL LEADER: LA DEDICA AL GRUPPO
Il colpo più bello è arrivato a microfoni accesi, con una dedica che pesa come un gol sotto la curva nei minuti di recupero: "Il team si merita questo risultato perché soffro io e anche loro. Questa vittoria è per la squadra, che lavora tanto. Come io sono in difficoltà nel capire questa situazione, lo sono anche loro.

Alterniamo prestazioni deludenti a prestazioni fantastiche, quindi dobbiamo trovare il motivo. So perfettamente che non è una situazione chiara, non lo è per me come non lo è per loro. Però stiamo lavorando e stiamo facendo di tutto per riuscire a venirne fuori". Parole nette, sincere, piene di quella onestà intellettuale che si traduce in responsabilità condivisa. È il manifesto di un gruppo che sa soffrire e rialzarsi, di una squadra che ammette l’altalena e non smette di cercare l’equilibrio, come chi lavora tutta la settimana per tenere la difesa alta senza sbavature.

Alle spalle di Bagnaia, l’altra Desmosedici di Alex Marquez ha messo la serratura al secondo posto nel Mondiale. Dettaglio non da poco: quando la pressione cresce e la classifica pesa, serve lucidità nel palleggio e intelligenza nelle scelte. Alex l’ha avuta, e il suo piazzamento vale come un pareggio d’oro in trasferta che ti consegna aritmetica e serenità.

Terzo al traguardo sarebbe stato la “consorella” di Fermin Aldeguer, ma la sua corsa è stata poi declassata al settimo posto per pressione irregolare delle gomme. Qui, più che a un fuorigioco di rientro, si è trattato di un dettaglio tecnico che ha spostato l’inerzia del podio, lasciando spazio alla KTM di Pedro Acosta. Il baby fenomeno ha colto l’occasione con l’istinto di chi in area non perdona. Franco Morbidelli, solido e concreto, si è piazzato quarto sulla Ducati VR46: prestazione pulita, da interno di centrocampo che non spreca un pallone e tiene la squadra sempre in carreggiata.



Interessante la gestione di Bagnaia di fronte al problema dell’abbassatore posteriore. Ha funzionato solo in partenza, poi basta. Non è un dettaglio di poco conto in un contesto dove ogni millimetro conta, dove l’assetto è la geometria che ti regala il tempo sul giro. Eppure, Pecco ha mascherato la sofferenza con linee pulite e decisioni chirurgiche. Quando si dice vincere “sporcandosi le mani”: come un centravanti che si inventa il gol con una spallata e un controllo imperfetto, ma esulta lo stesso perché il tabellino dice 1-0.

Nelle sue parole c’è il tema chiave di questo finale: alternanza tra prestazioni deludenti e fantastiche. Non è una formula matematica, è il calcio (pardon, le corse): serve trovare l’equilibrio, l’undici tipo, il sistema che ti fa rendere al meglio anche quando non sei in giornata. Bagnaia spiega che la situazione non è chiara “né per me né per loro”. E allora il lavoro diventa la bussola, l’allenamento la cura: colmare i buchi tra i reparti, restare corti, accorciare, trovare l’uscita pulita dal pressing. È questo che il box sta facendo: lavorare “di tutto per riuscire a venirne fuori”.

C’è un ultimo paragrafo da scrivere, e ha un orario preciso: alle 8 italiane, il Gran Premio. Il copione ideale? Trasformare la Sprint in un assist e la gara lunga nel gol che chiude la pratica. La base è solida: feeling ritrovato, leadership in pista, fiducia dichiarata al gruppo. Il resto lo farà la gestione, quel modo di stare in gara che in Malesia Pecco ha mostrato con autorità: partire forte, scappare, rendersi imprendibile. È come quando senti che la squadra è in bolla: tocchi la palla e sai già che finirà dove vuoi tu. Intanto, dietro, il podio che si rimescola racconta che nessuno regala niente. Alex Marquez ha messo il lucchetto al secondo posto nel Mondiale, Pedro Acosta ha fiutato l’occasione e l’ha trasformata in podio, Franco Morbidelli ha portato a casa un quarto posto di grande valore.

E Fermin Aldeguer? La retrocessione per pressione irregolare delle gomme è il promemoria che, anche quando giochi bene, la linea del regolamento è come quella del fuorigioco: oltre, non si passa. Se questa è la temperatura della Malesia, prepariamoci a un altro giro di giostra. La Sprint ha offerto la fotografia di un Bagnaia efficace e determinato, capace di governare la corsa e di abbracciare la squadra quando serve. Alle 8 italiane, la possibilità di mettere il timbro finale e completare l’opera. Perché certe vittorie non capitano: si costruiscono, pezzo su pezzo, giro su giro. E quando l’orchestra suona all’unisono, il solista fa il resto.

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