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Settimo Torinese
16 Maggio 2023 - 23:04
Uno scatto di Fabio Camaioni
Venerdì 13 maggio, data coincidente con l’approvazione della Legge Basaglia, le vie di settimo sono state animate da “Ri-tocco d’arte”, una iniziativa del progetto SeGiova, in collaborazione con +Diritti e con il CSM di Settimo.
Venerdì 13 maggio, data coincidente con l’approvazione della Legge Basaglia, le vie di settimo sono state animate da “Ri-tocco d’arte”, una iniziativa del progetto SeGiova, in collaborazione con +Diritti e con il CSM di Settimo.
Si tratta del progetto fotografico sviluppato da Fabio Camaioni, fotografo e psicologo, che ha provato a rappresentare il processo di trasformazione che vivono le persone che frequentano il Centro di Salute mentale di Settimo “dal momento di crisi fino al superamento verso una condizione più stabile”.
Un progetto narrativo che nasce dalla stretta relazione che Camaioni ha potuto instaurare con le persone che frequentano il CSM di Settimo, il centro fondato da Enrico Pascal che costituisce da anni una eccellenza italiana nella cura del disagio mentale.
12 scatti visibili lungo le vie del centro; 12 storie adottate dai commercianti della via pedonale che avranno cura di allestire e proteggere ogni giorno i cavalletti lungo via Italia.
Una modalità espositiva che vuole innanzitutto creare un momento di condivisione e contatto tra la realtà del Centro di Salute Mentale e lo spazio urbano della città; rafforzata dalla passeggiata inaugurale che è stata animata dalle interpretazioni di Eva Meskhi e Lucia Corna (compagnia Potenziali Evocati Multimediali) che hanno interpretato alcuni brani tratti dalle opere di Goliarda Sapienza.
Le società da sempre hanno cercato di costruire barriere e confini, limiti oltre il quali stabilire un senso di appartenenza, un perimetro oltre il quale definire un “noi” ed un “loro”. Questo meccanismo ha portato alla creazione di ghetti, luoghi dove emarginare tutto quello che viene percepito come estraneo.
Ma i ghetti fisici sono spesso rivelatori di altrettante barriere mentali che vengono costruite internamente ai gruppi sociali. Il bisogno di definirsi attraverso l’esclusione degli altri non è altro che la spia di una debolezza, una incapacità di trovare una propria identità specifica ed autonoma. Si ha paura di una diversità quando si teme che quella diversità possa mettere in discussione un qualche tratto della nostra identità.
In questo gioco di specchi non è mai chiaro quale sia in dentro e quale sia il fuori. Nel momento in cui si definisce un recinto destinato agli altri, in realtà stiamo costruendo una barriera al nostro stesso modo di vivere.
“Entrare fuori, uscire dentro” è una espressione adottata dal Museo della Mente di Roma, mutuata dal pensiero di Basaglia che spingeva a riconoscere e a far riconoscere la normalità del disagio. Un disagio condiviso (o meglio una normalità collettiva) nel quale siamo tutti coinvolti, e alla quale nessuno può dirsi completamente estraneo. Entrare fuori uscire dentro ci spinge a riflettere sulla necessità di abbattere gli steccati e le barriere fisiche e mentali che siamo tutti portati a costruire anche intorno a noi stessi.
Accogliere la diversità, in qualunque forma si presenti, significa costruire una società, una città dove ognuno possa trovare il proprio spazio per esprimere ed esercitare la propria specificità. Siamo tutti in un modo o nell’altro portatori di una nostra specificità. Costruire un modello di convivenza capace di essere includente significa anche costruire una società nella quale anche noi possiamo trovare spazio.
Insomma, una iniziativa che porta nelle strade della città il disagio mentale, ma che inviata a costruire un modello di convivenza in grado di accogliere ed affrontare il disagio di ciascuno di noi.
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