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Quel Nientologo di Volpatto

Everest

Natura e avventura: la montagna che sfida l'uomo

Everest

Il monte Everest, parete sud-ovest nepalese

29 maggio 1953. Settant’anni fa giusti giusti Edmund Hillary neozelandese, e Tenzing Norgay, lo sherpa più famoso della storia, conquistavano l’Everest. Per la prima volta l’uomo, con un’impresa al limite dell’impossibile, saliva la montagna più alta. C’era voglia di vita, pace, allegria in quegli anni e nei giorni in cui Elisabetta II diventava regina d’Inghilterra, un suo suddito, Hillary appunto, saliva la vetta più alta, affascinante, irrangiungibile del pianeta. “Oltre a tutto questo” scrisse un giornalista commentando l’incoronazione, “anche l’Everest!” File interminabili di genti accolsero Hillary al suo rientro in patria, e poi in Inghilterra, ospite della neo-Regina che era anche sua sovrana.

Il bello è che la natura l’Everest lo aveva messo lì da milioni di anni, ed è difficile spiegare a un bambino che andarci, soprattutto la prima volta, non dev’essere stato tanto facile. E neanche tornare indietro. Lassù non tutto è dominabile, accomodabile, programmabile, il cielo, la montagna non sono lavastoviglie, non ci sono algoritmi o teorie per decidere se nevicherà o meno, se farà bufera o meno. Ci si può andare vicino, ma prenderci è un’altra cosa. Da quando c’è il mondo da quelle parti fa freddo e nel caso passi una nuvola non si limita a far scendere piano piano qualche fiocco di neve, porta bufera.

Il primatista Hillary voleva in realtà farci un pupazzo con la neve, ma lo Sherpa, che di quei posti ci capiva più di lui, lo sconsigliò.

C’è chi dice che Hillary e Norgay non siano stati i primi; Mallory e Irvine, trent’anni prima c’erano forse arrivati, ma persisi in discesa hanno mancato il ritorno e non sono riuscito a raccontarla. Quando a causa del disgelo, furono ritrovate le loro ossa, non c’era la macchina fotografica sul cui rullino si sarebbero senza dubbio viste le immagini dell’impresa, riuscita o no.

Ce l’ha poi fatta un altro, seguito da altri mille, su altre pareti, poi su altre montagne un pelo più basse ma altrettanto complicate. L’Alpinismo è stato il primo Sport professionistico moderno, ha anticipato il ciclismo e addiritttutra le Olimpiadi, ha segnato (e ancora segna) lo studio di materiali e tecnologie diventati poi quotidianità, dalle calzature invernali, all’abbigliamento tecnico, ai sistemi di sicurezza per chi lavora “appeso”.

Dieci anni dopo gli ottomila dell’Everest conquistammo la Luna, altri dieci anni e si fece il primo trapianto di cuore, altri dieci e nacque questo giornale. Una novità via l’altra.

Siamo sempre lì, l’uomo, i nuovi orizzonti. Cerchiamo sempre, ovunque. Forse per trovare noi stessi.

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