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Sanità

Altro che "pronto soccorso"... lì si muore

Da Mattia a Rosaria, racconti di un incubo, cronache dall'inferno

lacrime di un anziano

lacrime di un anziano

Davanti alla porta del triage c'è un uomo anziano. Ha un foglio in mano ed è pronto a snocciolare, minuto per minuto, le ultime settimane della sua esistenza. Mattia, nome di fantasia, ha più di 80 anni e più di 80 acciacchi. Da giorni non dorme più, fa fatica a mangiare, si sente la febbre e ce l'ha.

Anche per lui si aprirà quella porta in fondo a sinistra. E' uno dei tanti che a dicembre hanno preso d'assalto il Pronto soccorso. Anche lui entrerà a far parte delle statistiche e di coloro che, nei comunicati stampa hanno ingolfato gli ospedali. Uno dei tanti malati in attesa nei corridori dell'ospedale di Chivasso (Asl To4).  

Fragili, malcapitati, in un certo senso pure un po' disgraziati. Benvenuti nel girone dantesco. Sulle barelle c'è chi protesta, chi chiede assistenza, chi geme, qualcuno piange. Altro che pronto soccorso.... qui si muore.

Quasi lo stesso film di prima del Covid e il Covid, manco a dirlo, non ci ha insegnato un bel nulla. Mancano i posti letto nei reparti e allora si sta tutti lì. Malati sofferenti nel bel mezzo della malasanità

Mancano infermieri, mancano operatori sanitari, mancano barelle, mancano medici. Manca tutto. Chi c'è fa quel che può districandosi tra le priorità dei codici rossi, verdi e gialli, inventati per fornire delle giustificazioni alle lunghe attese e ad una specie di catena di montaggio che non guarda gli occhi sofferenti, figuriamoci la sofferenza vera e propria.

E' qui che è morta Rosaria Candela di Settimo Torinese. Era una malata oncologica. Aveva 74 anni, ed era già entrata e uscita diverse volte dalle sale operatore. Il pomeriggio del 31 era stata di nuovo male.

I famigliari l'avevano portata in "pronto" il 31 dicembre ed è rimasta su una barella per tre giorni. In un angolo. A fianco di decine di altre persone. Cosa si successo esattamente non si sa fatto sta che è caduta, ha sbattuto la testa in terra ed è morta senza riprendere conoscenza.

Paolo Franzese, primario del Dea, davanti alle telecamere, altro non fa che confermare il disastro. «Quella sera avevamo una novantina di pazienti. E il personale era a pieno regime. Se sono tanti? Certo. Noi potremmo accoglierne al massimo 50. E il personale, ovviamente, è parametrato su quei numeri. Ma la nostra media di presenze va dai 70 ai 110 pazienti. E sono numeri importanti. La sicurezza dei degenti? La garantiamo sempre, ma qui lavoriamo in condizioni difficili».

Tace Giuseppe, marito della figlia di Rosaria. Abita in centro a Settimo Torinese. Con i gomiti appoggiati al davanzale della finestra di un alloggio al primo piano, al giornalista del TG3 dice solo che quella sera appena ha saputo della disgrazia si è precipitato a Chivasso.  "Abbiamo scelto di non dire nulla di questa storia, ma sappiamo com'è ridotta la sanità in Piemonte", stigmatizza. E poi ancora: "Qualcuno pagherà!"

Nel fascicolo aperto dalla Procura di Ivrea si legge "omicidio colposo a carico di ignoti". Sono in corso verifiche, controlli e perizie. Domani la procuratrice Gabriella Viglione affiderà l'incarico al medico legale per eseguire l'autopsia. Gli inquirenti stanno anche cerando di fare luce sulle procedure di sicurezza e assistenza seguite dal personale.

Intanto, l'altoparlante chiama. "Mattia? Ha detto il mio nome, tocca a me". Povero Mattia! Al Pronto soccorso di Chivasso ci resterà tre giorni anche lui.  Alla fine di un calvario che mai più s'immaginava e  una lunga sfilza d'esami, i medici han scoperto una probabile neoplasia.

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