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L'istituzione ha avviato le sue attività dal 5 novembre 2002

L'Ecomuseo compie 20 anni

Sabato mattina si è svolta presso l'Ecomuseo, una giornata di confronto per celebrare 20 anni di attività museale

L'Ecomuseo compie 20 anni

Ecomuseo del Freidano

Sabato mattina si è svolto un incontro tra i rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni che si occupano di studio ed analisi del territorio. L'incontro è stato organizzato dall'Ecomuseo del Freidano per celebrare i suoi 20 anni di apertura degli spazi museali.

Sono passati 20 anni da quando l’Ecomuseo è stato aperto al pubblico e ha cominciato a svolgere il suo prezioso lavoro di ricerca e divulgazione sul territorio settimese.

Il compleanno è stata l’occasione per organizzare una mattinata di confronto tra enti locali, amministrazioni e associazioni del territorio.

Durante la mattinata, dopo i saluti del Presidente della Fondazione ECM Silvano Rissio e del direttore generale Dario Netto, Marianna Sasanelli (responsabile e Coordinatore Ecomuseo del Freidano), e Daniela Petrone (Coordinatore Eventi e spazio mostre) hanno ripercorso la storia dell’Ecomuseo a partire dalle origini, quando con il primo atto fondativo il comune approvava “l’ipotesi progettuale di tutela e recupero ambientale denominata ecomuseo”, fino alla realtà attuale fatta di un intenso programma di iniziative; dalle visite guidate lungo il territorio e la città, ai laboratori didattici, dalla creazione dell’emporio solidale alla organizzazione di mostre dal respiro sempre più contemporaneo; non ultima la mostra Pixel Art che è ancora visitabile fino al 26 febbraio. 

Con l’occasione sono intervenuti anche i rappresentanti delle diverse istituzioni e delle associazioni che collaborano con l’Ecomuseo e con esso costituiscono una rete di comunicazione e di creazione di conoscenza; Eliana Salvatore (referente Laboratorio Ecomusei della Regione Piemonte), Silvano Valsania (Presidente Rete Ecomusei Piemonte), Manuel Ramello (Vicepresidente Ass. Italiana Patrimonio Archeologico Industriale) e Matteo Negrin (Direttore Fondazione Piemonte dal Vivo).

Gli interventi che si sono susseguiti hanno messo in evidenza l’importanza strategica che ha un Ecomuseo per la creazione di una identità culturale di una città; è stato più volte messo l'accento sulle differenze (lessicali ma anche organizzative) che ci sono tra questa forma museale e il museo nella sua forma più tradizionale.

La vocazione naturale di un Ecomuseo è infatti quella di vivere in simbiosi con il territorio, dialogando con esso e adottando strategie di ricerca e di didattica sempre più dinamiche e adattabili alla continua evoluzione del territorio stesso.

Se da una parte un Ecomuseo trova la sua ragione di essere nella divulgazione della cultura specifica di un territorio, la sua funzione non può e non deve esaurirsi nella ricerca storica.

Questa necessità di andare oltre la ricerca storica è ancora più evidente se si opera in un territorio fortemente industrializzato come Settimo.

La sindaca Elena Piastra

Come ha fatto notare la Sindaca Elena Piastra, intervenuta per i saluti, alla stessa maniera in cui oggi noi preserviamo la cultura manifatturiera di industre storiche come quella delle penne o dei bottoni, tra vent’anni ci ritroveremo a studiare le industrie che oggi sono al centro del nostro sistema produttivo.

Secondo Matteo Negrin Direttore della Fondazione Piemonte dal Vivo, gli Ecomusei sono quindi istituzioni che hanno il compito di operare come “recettori della realtà attuale”, ponendosi come “soggetti abilitatori di contesto”.

Traendo spunto da questa ultima considerazione provo a fare una ulteriore considerazione.

La città nella sua accezione più ampia di territorio è il luogo dove avviene l'esperienza umana. Occorre chiedersi di quale esperienza parliamo? Quale cittadinanza svolge la sua esperienza nel territorio?

Una cittadinanza eterogenea, espressione di molteplici identità; una cittadinanza che è il frutto di spinte migratorie interne ed esterne all’Italia; e anche all’interno di queste differenze etniche e antropologiche, non possiamo che riflettere sulle differenze sociali che spesso caratterizzano gli abitanti di una città come settimo. Uomini, donne, bambini anziani, lavoratori, operai, commercianti, pensionati, dipendenti, insegnati, sportivi, persino ubriaconi e perdigiorno, sono tutte categorie diverse, tutti diversi modi di affrontare la realtà e di confrontarsi con essa.

Diverse esigenze, diversi modi di stare al mondo, diverse identità. Di fronte a questa molteplicità di visioni l'esercizio di ricerca di una visione unica dell'identità sociale di un corpo cittadino, rischia di diventare un esercizio sterile e nel peggiore dei casi una azione dirigista di imposizione dall'alto verso il basso.

Al contrario, il ruolo di istituzioni come l’Ecomuseo dovrebbe essere giocato su diversi piani.

Da una parte la preservazione della identità storica, la ricerca delle radici culturali appartenenti al territorio. Un compito che è stato più volte ricordato nel corso della mattinata.

Dall'altra occorre ricordare che questa identità storica, questa memoria è solo uno degli elementi che compongono il puzzle identitario di una società.

Ma questo lavoro di ricerca, se fatto rivolgendo lo sguardo all’oggi non può che avere una sola modalità di azione; quella dell’ascolto.

Il compito e la sfida più importante per una istituzione come un Ecomuseo sarà quindi sempre di più, non tanto quello di volere insegnare una determinata identità culturale (sia essa storica che frutto di una analisi sulla contemporaneità) quanto creare le forme e condizioni affinché siano i cittadini stessi a poter costruire la loro personale identità.

La ricerca e l’insegnamento di una visione identitaria, fatta anche con le migliori intenzioni, si traduce sempre e irrimediabilmente in propaganda. Una modalità utile e necessaria per la ricerca del consenso, difficilissima da evitare ma della quale occorre sempre tenere bene a mente i rischi e i limiti.

Occorre quindi lavorare per creare un ecosistema culturale dove ogni singolo cittadino sia messo in condizione di sviluppare liberamente il proprio modo di partecipare alla vita sociale.

Chiudo con una considerazione sui tempi.

Dalla prima delibera comunale (n. 400 del 26 marzo 1985) fino alla inaugurazione o del Museo Etnografico del Mulino Nuovo (avvenuta il 5 ottobre 2002) sono passati 17 anni.

Altri venti anni sono passati in attività operative che hanno visto diversi assetti giuridici ma una continuità di azione dell'Ecomuseo che lo hanno portato ai livelli di eccellenza che gli sono riconosciuti ( a questo proposito è stato più volte ricordato il lavoro sul campo svolto da Vito Lupo).

Gli ultimi 20 anni sono stati impiegati per sviluppare progettualità che avessero ricadute concrete sul territorio, un periodo nel quale è stato possibile vedere materializzati gli sforzi di chi ci lavorava in azioni e iniziative concrete, azioni visibili e misurabili.

Ma nei 17 anni precedenti tutto quello che è stato fatto per arrivare all’inizio delle attività è stato il frutto di pochi amministratori, pochi funzionari che hanno lavorato con costanza e sistematicità ad ottenere il risultato di dare al territorio una struttura così importante.

Un lavoro fatto sostanzialmente all’ombra di qualsiasi possibilità concreta di apprezzarne materialmente un risultato.

Un lavoro fatto evidentemente senza pensare ad un tornaconto o alla spendibilità politica di un risultato qui ed ora, ma condotto con un pensiero e una visione di lungo periodo, oltretutto condivisa tra diverse generazioni di tecnici e amministratori.

Possiamo decisamente ringraziare.

 

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