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Cronaca
22 Dicembre 2025 - 14:53
Una svolta improvvisa, maturata tra una sala d’attesa e una cella di carcere. È in questi spazi sospesi che l’inchiesta dei carabinieri su una serie di rapine violente ha incrociato un’accusa ben più grave: l’omicidio di una persona trans peruviana di 28 anni, trovata senza vita il 9 ottobre in un appartamento di via De Amicis, ad Alessandria. Due giovani senza fissa dimora, stranieri di 22 e 25 anni, già in carcere per assalti ai danni di lavoratrici del sesso, sono ora indagati anche per quel delitto. A far emergere il nuovo scenario investigativo sarebbero state intercettazioni ambientali. E uno dei due, il più giovane, avrebbe parlato davanti al pm Gualtiero Battisti, chiamando in causa l’amico come autore materiale. Un mosaico che inizia a ricomporsi, ma che attende ancora conferme decisive.
L’indagine aveva preso forma nei mesi scorsi attorno a una scia di rapine particolarmente violente, attribuite ai due indagati. Colpi messi a segno con modalità aggressive, che avevano portato al loro arresto e alla custodia nel carcere di Alessandria. È proprio durante questa fase che, su delega della magistratura, i carabinieri hanno disposto una serie di ascolti ambientali, prima in una sala d’attesa e poi all’interno di una cella. Registrazioni che, secondo gli inquirenti, avrebbero fatto emergere riferimenti compatibili con l’omicidio avvenuto settimane prima in via De Amicis.
La vittima, una persona trans di origine peruviana, aveva 28 anni ed era stata trovata morta nel proprio alloggio il 9 ottobre. Un caso che inizialmente appariva isolato e che ora, alla luce delle nuove risultanze, viene riletto dentro un contesto di violenza seriale. I due indagati, entrambi giovani e senza dimora stabile, gravitavano nello stesso ambiente urbano e sarebbero entrati in contatto con la vittima nei giorni precedenti alla morte.
Il passaggio più delicato dell’inchiesta riguarda le dichiarazioni rese dal 22enne davanti al pubblico ministero Gualtiero Battisti. Secondo quanto filtra, il giovane avrebbe ammesso il proprio coinvolgimento, indicando però il 25enne come autore materiale dell’omicidio. Una confessione che, come sempre in questi casi, viene valutata con estrema cautela. Le accuse incrociate tra coindagati non bastano da sole: devono trovare riscontri oggettivi, sia sul piano tecnico sia su quello logico.
Ed è qui che entrano in gioco le intercettazioni ambientali, considerate dagli investigatori il vero punto di svolta. Strumenti invasivi ma legittimi, se autorizzati in presenza di gravi indizi, capaci di cogliere conversazioni spontanee, ammissioni indirette, ricostruzioni non filtrate dalla strategia difensiva. Proprio per questo, spiegano fonti investigative, il loro contenuto deve essere analizzato con rigore, verificando il contesto, il linguaggio utilizzato e la coerenza con gli altri elementi raccolti. Il rischio di millanterie, di frasi dette per impressionare l’interlocutore o di pressioni reciproche tra detenuti è un aspetto che l’accusa non può ignorare.
Ora l’inchiesta entra in una fase decisiva. Gli inquirenti sono al lavoro per consolidare il quadro: accertamenti tecnici, analisi dei movimenti, eventuali tracce biologiche, riscontri sui contatti tra vittima e indagati. Solo l’incrocio di questi elementi potrà chiarire se la confessione e le intercettazioni reggeranno alla prova del processo.
Resta, sullo sfondo, una storia che parla di marginalità, violenza e vite spezzate ai margini della città. Una vicenda che, da una serie di rapine, si è trasformata in un’indagine per omicidio e che ora chiede risposte nette, fondate su prove solide. Perché la svolta investigativa, per diventare verità giudiziaria, deve ancora superare il vaglio più difficile.

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