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Cronaca
17 Dicembre 2025 - 19:33
Violenza, alcol e un fucile in casa: il processo al padre che ha ucciso il figlio (foto di repertorio)
Ha parlato per un’ora e cinquanta minuti davanti alla Corte d’Assise di Novara Edoardo Borghini, 64 anni, imputato per l’omicidio del figlio Nicolò, 34 anni, ucciso il 19 gennaio scorso nella villetta di famiglia a Ornavasso, nel Verbano-Cusio-Ossola. Un processo che potrebbe concludersi con una condanna all’ergastolo e che oggi ha messo al centro la versione dell’imputato, chiamato a rispondere alle domande della pm Laura Carrera.
Borghini ha ripercorso l’intera giornata di quella domenica di undici mesi fa, iniziata con un pranzo in un locale della zona per festeggiare il compleanno di un parente. Una normalità apparente, spezzata la sera dal rientro a casa del figlio in evidente stato di alterazione. Secondo quanto riferito in aula, Nicolò aveva trascorso il pomeriggio bevendo alcolici in diversi bar insieme a uno zio, raggiungendo un tasso alcolemico di circa 2,5 grammi per litro.

Nicolò Borghini
Quando è arrivato a casa, dove i genitori erano già rientrati nel pomeriggio, la situazione è precipitata. Adirato per aver trovato il portone d’ingresso chiuso, il giovane avrebbe aggredito verbalmente padre e madre. «Bastardi», avrebbe urlato, accusandoli di non aver aperto il garage. Le parole, secondo il racconto del padre, si sono trasformate rapidamente in violenza fisica.
Il 64enne ha riferito che il figlio avrebbe afferrato la madre per il collo, sbattendole la testa contro un muro e mordendole un braccio, per poi tentare di avventarsi anche contro di lui. Un’aggressione che avrebbe scatenato il panico. «Mia moglie gridava “Edoardo, aiuto, questa volta ci ammazza”», ha ricordato l’imputato tra le lacrime.
Secondo la sua versione, lui e la moglie, entrambi in pigiama, si sarebbero rifugiati in cantina. Lì Borghini avrebbe preso quattro cartucce di un fucile regolarmente detenuto, decidendo poi di tornare nell’abitazione per il timore che il figlio, in preda alla rabbia, potesse fare del male alla cognata disabile della donna, che viveva con loro.
Lo sparo è avvenuto nel corridoio, a distanza ravvicinata, come stabilito dalla perizia balistica dei Ris di Parma. «Mio figlio era fuori di sé, forsennato. Ho temuto per la vita di mia moglie e ho pensato che dovevo fermarlo io», ha spiegato in aula Borghini. L’uomo ha sostenuto di non aver voluto uccidere il figlio e di aver mirato alle gambe. «È stata una frazione di secondo: mio figlio è leggermente scivolato, forse sui vetri dello specchio che lui stesso aveva appena rotto, scagliandolo contro la porta della stanza dove si erano rinchiuse mia moglie e mia cognata. Così i colpi sono finiti nel costato, anziché andare dove volevo, cioè nella sua gamba. Non avevo alcuna intenzione di sparare due colpi», ha aggiunto.
Nel corso dell’udienza sono stati ascoltati anche alcuni testimoni della difesa, che hanno descritto un quadro familiare segnato da episodi di violenza ripetuti nel tempo. Secondo le testimonianze, Nicolò avrebbe avuto comportamenti aggressivi, sia fisici sia verbali, nei confronti dei genitori. È stato ricordato in particolare un episodio del 2007, quando «stava per ammazzare la madre strangolandola, insultandola per questioni di soldi».
Il padre ha inoltre spiegato che lui e la moglie erano costretti a far fronte a circa 1.500 euro di debiti al mese del figlio, per coprire i danni provocati alle auto in incidenti stradali e le spese legali, nonostante Nicolò lavorasse e percepisse uno stipendio di circa 1.300 euro. Un peso economico che, secondo la difesa, si sommava a un clima di tensione costante.
Una versione che contrasta in parte con quanto dichiarato dalla moglie di Borghini nell’udienza precedente, quando in aula aveva invece minimizzato gli episodi di violenza del figlio. Un elemento che resta ora al vaglio della Corte.
Il processo proseguirà con le prossime due udienze, fissate per il 16 e il 23 gennaio, quando saranno sentiti gli ultimi testimoni e si entrerà nella fase della discussione finale, destinata a chiarire se quello sparo fu davvero un gesto disperato di difesa o un omicidio volontario.
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