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Cronaca

Uccise il figlio dopo l’aggressione alla moglie: “Ho avuto paura che la ammazzasse”

In Corte d’Assise a Novara la versione di Edoardo Borghini, imputato per l’omicidio del figlio Nicolò nella villetta di Ornavasso

Uccise il figlio dopo l’aggressione alla moglie: “Ho avuto paura che la ammazzasse”

Uccise il figlio dopo l’aggressione alla moglie: “Ho avuto paura che la ammazzasse” (immagine di repertorio)

È una deposizione che scava sempre più a fondo, andando oltre la notte degli spari e riportando alla luce anni di tensioni, debiti e convivenza forzata, quella resa in aula da Edoardo Borghini, 64 anni, imputato davanti alla Corte d’Assise di Novara per l’omicidio del figlio Nicolò Borghini, 34 anni, ucciso la sera del 19 gennaio nella villetta di famiglia a Ornavasso, nel Verbano-Cusio-Ossola. Dopo aver ricostruito minuto per minuto l’aggressione che, secondo la sua versione, lo spinse a sparare per difendere la moglie, l’uomo ha aggiunto un nuovo tassello al racconto: il peso economico e psicologico che da tempo gravava sulla famiglia.

Davanti ai giudici, Borghini ha parlato di un rapporto ormai logorato con il figlio, descritto come chiuso, incapace di dialogo e sempre più esigente. Ha raccontato che Nicolò, nonostante uno stipendio di circa 1.300 euro al mese, pretendeva continue somme di denaro dai genitori. «Ogni mese dovevamo far fronte a circa 1.500 euro di suoi debiti», ha detto, citando spese per danni alle auto e parcelle di avvocati. Una situazione che, secondo l’imputato, aveva costretto lui e la moglie, pur essendo in pensione, a riprendere piccoli lavori per riuscire a sostenere quelle richieste.

Nel suo racconto è emersa l’immagine di una casa dove il conflitto non era episodico, ma strutturale. Borghini ha definito il figlio «un ragazzo che non stava alle regole» fin dall’infanzia, ricordando una diagnosi di difficoltà nel controllo degli impulsi ricevuta quando era ancora piccolo. Ha parlato apertamente di una condizione di “soggezione psicologica” in cui lui e la moglie avrebbero vissuto per anni, un equilibrio domestico segnato dalla paura di contrariare Nicolò.

A rendere ancora più cupo il quadro, il racconto della quotidianità familiare: da tempo, ha riferito il padre, Nicolò non mangiava più insieme ai genitori. Comunicava con la madre tramite messaggi, indicando cosa doveva essere cucinato, poi consumava il pasto da solo e si rinchiudeva in camera, lasciando i genitori a tavola solo dopo. Un isolamento che, secondo l’imputato, era il segno di una frattura ormai irreversibile.

Tra le pretese economiche ricordate in aula, anche una richiesta fissa di 400 euro al mese, nonostante il lavoro in fabbrica. Quando il padre aveva provato a opporsi, la risposta del figlio sarebbe stata netta e intimidatoria: «Non se ne parla nemmeno». Un episodio che, nel racconto difensivo, si inserisce in una lunga sequenza di pressioni e tensioni crescenti.

Questi nuovi elementi si aggiungono alla ricostruzione già fornita nei giorni scorsi, quando Borghini aveva descritto la sera del delitto come l’epilogo di una violenza improvvisa e incontrollata: il rientro del figlio ubriaco, gli insulti, l’aggressione fisica alla madre, il tentativo di fuga in cantina e il ritorno in casa per timore che Nicolò potesse colpire anche la cognata, una donna con disabilità rimasta al piano superiore. Poi, i due colpi di fucile.

L’uomo è imputato per omicidio volontario. La difesa continua a sostenere la tesi della legittima difesa, o quantomeno dell’eccesso colposo, insistendo su un contesto di pericolo grave, attuale e protratto nel tempo. La Procura, al contrario, contesta questa lettura e ritiene che l’uso dell’arma non fosse giustificato nei termini previsti dalla legge.

Il processo dovrà ora tenere insieme due piani: quello della notte del 19 gennaio e quello, più lungo e complesso, della storia familiare precedente, fatta di conflitti economici, rapporti deteriorati e convivenza forzata. Sarà la Corte a stabilire se quel contesto possa incidere sulla valutazione penale del gesto o se, invece, resti sullo sfondo di un omicidio che la legge considera pienamente imputabile.

In aula, intanto, resta l’immagine di una famiglia schiacciata da anni di tensioni e di una tragedia che continua a interrogare su dove finisca la paura e dove cominci la responsabilità penale.

Immagine di repertorio

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