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Cronaca
10 Luglio 2025 - 16:45
Tragedia familiare: padre spara al figlio ubriaco al culmine di un litigio (foto di repertorio)
Aveva bevuto molto, oltre 2,5 grammi di alcol per litro di sangue, ma nessuna droga nel corpo. È quanto emerge dalle perizie medico-legali eseguite sul corpo di Nicolò Borghini, il 34enne ucciso lo scorso 19 gennaio a Ornavasso, in provincia di Verbania, con due colpi di fucile esplosi dal padre, Edoardo Borghini, 63 anni. Una tragedia familiare che ha scioccato la piccola comunità ossolana, e che oggi torna a far parlare di sé con un dettaglio in più, destinato a pesare sulla valutazione giudiziaria dei fatti.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Nicolò era rientrato a casa alterato, dopo una serata fuori. Quando ha trovato chiusa la porta del garage, sarebbe scoppiata una lite furiosa. In pochi minuti, i toni sarebbero saliti al punto da trasformarsi in aggressione fisica nei confronti dei genitori, in particolare della madre. È stato in quel momento, nel corridoio stretto del primo piano, che Edoardo Borghini ha impugnato il fucile da caccia regolarmente detenuto e ha sparato due volte. A distanza ravvicinata.
Il corridoio, largo meno di un metro, non ha lasciato spazio a scampo. Nicolò è morto lì, sotto gli occhi dei genitori, colpito senza possibilità di difendersi. Dopo gli spari, è stato lo stesso padre a chiamare i carabinieri e raccontare quanto era appena successo. Ai militari ha detto che il figlio era "fuori controllo", che aveva già aggredito in passato e che stavolta aveva temuto il peggio.
Gli esami tossicologici ora confermano che il giovane era fortemente ubriaco al momento dell’aggressione, ma non sotto l’effetto di droghe, come pure era stato ipotizzato nelle prime ore successive al fatto. Un elemento che, da un lato, rafforza la tesi di uno stato di alterazione profonda, dall’altro conferma l’assenza di premeditazione e la natura caotica dello scontro, tutto consumato in pochi, drammatici istanti.
La Procura di Verbania indaga per omicidio volontario, ma il quadro è complesso. Da un lato ci sono i colpi sparati da distanza ravvicinata, l’arma impugnata e usata non per minacciare, ma per colpire. Dall’altro, la paura concreta, la violenza già esplosa, le testimonianze raccolte nei giorni successivi che raccontano di un rapporto familiare difficile, con episodi di tensione e conflitti crescenti nel tempo.
Il caso divide, anche nella piccola comunità di Ornavasso, dove molti conoscevano la famiglia Borghini. Nicolò, descritto da alcuni come un ragazzo brillante ma fragile, negli ultimi anni aveva vissuto momenti di forte instabilità. Alcuni vicini riferiscono di discussioni frequenti, altri di un padre e una madre esausti e preoccupati, che cercavano un equilibrio difficile da mantenere.
La perizia sull’alcol rafforza ora l’ipotesi che quella sera Nicolò non fosse in sé e che l’aggressione potesse effettivamente apparire come pericolosa. Ma sarà il processo, nei prossimi mesi, a stabilire se la reazione del padre fu dettata da uno stato di necessità o da un impulso eccessivo, se fu legittima difesa o un gesto disperato e sproporzionato.
Nel frattempo, Edoardo Borghini è a piede libero, in attesa delle decisioni della magistratura. La sua posizione resta delicata: il giudice dovrà valutare non solo i fatti e le prove tecniche, ma anche il contesto umano e psicologico, quello di un padre che ha ucciso un figlio nel tentativo, forse, di proteggere una moglie da una minaccia concreta. O, per altri, di fermare una spirale familiare che si era già spinta troppo oltre.
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