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Cronaca
24 Novembre 2025 - 10:26
"Andrete all’inferno": a Torino anni di terrore per le ragazze della comunità religiosa
Una vicenda lunga, dolorosa e complessa emerge dalle carte della procura di Torino, che ha ricostruito un presunto sistema di maltrattamenti maturato all’interno di una comunità religiosa cristiana protestante composta in prevalenza da cittadini originari della Liberia. Al centro delle indagini c’è una predicatrice 42enne, morta lo scorso anno per cause naturali, che per anni avrebbe esercitato un’autorità totale sui minori affidati dalle famiglie della comunità. Un potere trasformato, secondo gli inquirenti, in un insieme di violenze fisiche, pressioni psicologiche e regole imposte in nome della religione.
Il processo nei confronti della donna — guidato dalla sostituta procuratrice Barbara Badellino — sarebbe dovuto iniziare mercoledì 26 novembre. La sua morte ha però determinato l’estinzione del reato. A rispondere davanti al giudice sarà invece una madre che aveva affidato le due figlie alla predicatrice e che, richiamandone i precetti, avrebbe a sua volta inflitto maltrattamenti. È difesa dall’avvocata Laura Speronello, mentre le presunte vittime sono tutelate dall’avvocata Lucia Taranzano.
Il quadro emerso dalle indagini è quello di una gestione educativa improntata a rigidità estrema. Nei racconti raccolti dagli inquirenti compaiono episodi di percosse, schiaffi alle mani e in varie parti del corpo, talvolta con un mestolo utilizzato come strumento di punizione. Le ragazze ospitate nella casa della predicatrice vivevano sotto un regime di regole severe che, secondo la procura, andavano ben oltre qualsiasi pratica educativa consentita.

Tra i divieti imposti, uno in particolare colpisce: per le adolescenti erano proibiti i pantaloni. Poi i digiuni obbligatori, le imposizioni su ciò che si poteva o non si poteva mangiare, e perfino il controllo su bevande acquistabili solo previo consenso. La madre ora imputata avrebbe fatto proprie queste regole, imponendo alle figlie di evitare maionese, carne di maiale e Coca Cola, ripetendo i moniti della predicatrice: «Se non rispettate le regole andrete all’inferno». Un dogma usato come strumento di pressione, secondo la procura.
Le punizioni fisiche avrebbero raggiunto momenti estremi: lasciare le ragazze in pigiama sul balcone, anche in pieno inverno, oppure obbligarle a restare in piedi per ore durante la notte. Comportamenti che gli inquirenti considerano incompatibili con qualsiasi metodo educativo legittimo.
La predicatrice, fino alla morte, ha sempre respinto le accuse sostenendo di avere semplicemente aiutato famiglie in difficoltà e di aver svolto un ruolo di babysitter, mai di educatrice autoritaria. Con la sua scomparsa, sarà il processo alla madre a stabilire fin dove arrivò l’influenza della predicatrice e quali responsabilità individuali possano essere attribuite a chi ne seguiva i precetti.
Una vicenda che apre interrogativi profondi sul controllo sociale nelle comunità chiuse, sul ruolo dei leader religiosi e sulla vulnerabilità dei minori in contesti dove obbedienza e paura possono diventare strumenti di potere.
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