AGGIORNAMENTI
Cerca
Attualità
20 Novembre 2025 - 15:48
Il “triangolo dell’orrore”: Torino, Trieste e Milano dentro il mistero dei cecchini pagati a Sarajevo
C’è un triangolo geografico - Torino, Trieste, Milano - che ritorna oggi al centro di una delle vicende più oscure della guerra nei Balcani. È in queste tre città italiane che, secondo le ricostruzioni giornalistiche e l’esposto presentato dallo scrittore Ezio Gavazzeni, risiederebbero alcuni uomini citati come presunti partecipanti ai cosiddetti “cecchini del weekend”, persone che durante l’assedio di Sarajevo avrebbero pagato per sparare sui civili dalle colline che circondavano la città.
La Procura di Milano ha aperto un fascicolo per omicidio volontario plurimo aggravato da crudeltà e motivi abietti, attualmente contro ignoti. L’indagine, come reso noto da Sky TG24 e dalla RAI, si concentra su documenti provenienti da Sarajevo, testimonianze raccolte negli anni e possibili atti del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia.
Nell’esposto compaiono riferimenti a tre italiani che avrebbero dichiarato di provenire rispettivamente da Milano, Trieste e Torino. Nessuno di loro è indagato ufficialmente, ma la semplice presenza dell’Italia in una storia così brutale ha riaperto un dibattito profondo sul ruolo degli stranieri nei crimini dell’assedio.
Un vero e proprio “mercato della morte” sulle colline di Sarajevo. Secondo le testimonianze citate dai media, stranieri facoltosi avrebbero raggiunto le postazioni di tiro delle milizie serbo-bosniache per partecipare a sessioni di fuoco contro civili indifesi. Il prezzo variava: donne, uomini, anziani, persino bambini. La ricostruzione parla di una sorta di tariffario, descritto nell’esposto e poi riportato dalla stampa italiana.
Trieste, crocevia verso i Balcani, sarebbe stata il punto di transito principale. Milano il motore logistico e Torino una delle città di provenienza degli uomini citati nelle testimonianze. Tre punti geografici diversi, accomunati — come osservano vari analisti — dalla facilità di accesso a poligoni di tiro, ambienti armati, associazioni venatorie e reti politiche che negli anni ’90 gravitavano intorno alla guerra jugoslava.
Le autorità italiane stanno verificando se le testimonianze siano supportate da prove concrete: nomi, movimenti, atti, documenti e ancora testimonianze incrociate. A distanza di trent’anni, la ricostruzione è complessa: molte prove materiali sono scomparse, alcuni testimoni non ci sono più, altri non vogliono parlare. Ma la domanda etica resta intatta: come è stato possibile? E soprattutto: chi erano questi uomini?
Per decifrare l’abisso che ha permesso a un essere umano di pagare per uccidere un bambino, serve uno sguardo capace di entrare nelle zone più oscure della psiche. Lo abbiamo trovato nella voce della criminologa torinese Sara Leone, che ci offre una lettura cruda e senza sconti.

Dottoressa Leone, chi è la persona che paga per uccidere in un contesto di guerra?
"In questo specifico contesto, la persona che paga per uccidere è un civile spesso dotato di potere economico e sociale, che partecipa attivamente a un sistema di violenza strutturata tramite un vero e proprio mercato della morte. Questi individui si sottraggono alla responsabilità diretta di combattere, ma finanziando e ingaggiando killer mostrano una modalità di partecipazione criminale psico-patologicamente connotata da sadismo, narcisismo e senso di onnipotenza, che si traduce in un uso strumentale della violenza contro vittime innocenti e indifese. Il pagamento imprime un senso di controllo assoluto sulla vita dell’altro: è una scelta morale e psicologica gravemente deviata".
Che profilo emerge, leggendo le testimonianze di Sarajevo?
"Emerge il ritratto di individui caratterizzati da disumanizzazione della vittima e da una pericolosa desensibilizzazione alla violenza. I "turisti della morte" si collocano in un profilo psicopatico-sociale: mancanza di empatia, desiderio di potere, sadismo. Spesso manifestano un funzionamento narcisistico patologico, con un’esaltazione del proprio valore attraverso il possesso simbolico della vita altrui e la capacità di generare sofferenza senza provare rimorso. La loro azione si iscrive in un sistema ideologico e criminale che legittima l’uccisione come divertimento o sport, aggravando la devastazione morale di un contesto di guerra".
Cosa racconta questo caso sulla natura umana?
"Rivela quanto la violenza possa trasformarsi in un’attrazione. In condizioni estreme - guerra, caos, impunità - alcune persone sviluppano un fascino morboso per la crudeltà, motivato dall’eccitazione, dal desiderio di dominio o, semplicemente, dal divertimento. La disponibilità a pagare per uccidere, persino bambini, mostra un livello di disumanizzazione radicale che nasce dalla perdita di empatia, dal crollo delle norme morali e dalla ricerca di emozioni sempre più estreme".
Esistono correlazioni tra psicopatia "sociale" e comportamenti simili, anche senza diagnosi clinica?
"Sì. Esistono correlazioni forti tra tratti psicopatici sociali - mancanza di empatia, manipolazione, piacere nel provocare sofferenza - e comportamenti sadici come quelli descritti. Non è necessaria una diagnosi formale: in contesti di guerra o di crisi estrema, dove le norme sono sospese, questi tratti possono emergere in modo esplosivo, portando individui apparentemente “normali” a compiere atrocità".
Differenza tra un assassino in tempo di pace e un individuo che uccide per divertimento in guerra?
"In tempo di pace, l’assassino agisce spesso per motivazioni personali: gelosia, vendetta, soldi. In guerra, l’uccidere per divertimento — come sembra essere accaduto a Sarajevo — si inserisce in un contesto di disordine morale, dove la vita umana perde valore e la violenza diventa spettacolo. Il killer che uccide per eccitazione durante un conflitto non è un combattente: è un individuo che sfrutta il caos bellico per soddisfare pulsioni sadiche, in totale assenza di controllo interno e esterno".
Il “triangolo dell’orrore” - Torino, Trieste, Milano - non è una struttura organizzata, ma un intreccio di provenienze, accessi, reti e opportunità che, secondo le testimonianze raccolte, avrebbe favorito la presenza di italiani in uno dei capitoli più oscuri della guerra bosniaca. L’inchiesta della Procura di Milano sta tentando di chiarire ciò che è accaduto su quelle colline. Ma la risposta, oggi, non riguarda solo l’identità di quegli uomini, riguarda noi: la nostra memoria, la nostra responsabilità, la nostra capacità di guardare l’orrore negli occhi.
BOX INFORMATIVO: Chi è Sara Leone?
Psicologa giuridica e criminologa investigativa, opera da anni nel settore penale e civile occupandosi dell’analisi e della gestione di casi complessi, in particolare maltrattamenti, abusi su minori, violenza domestica e reati contro la persona. Collabora con studi legali e istituti penitenziari offrendo valutazioni criminologiche, consulenze tecniche di parte e supporto nei percorsi di trattamento e reinserimento sociale dei detenuti. È iscritta all’Albo degli Psicologi del Piemonte (sezione A, n. 11415) e al Registro Nazionale dei Criminologi (n. 305) come socia dell’A.I.C.I.S., associazione che riunisce professionisti specializzati nell’investigazione e nella sicurezza, garantendo un alto livello di competenza e formazione continua.
Edicola digitale
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.