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Cronaca

Legata ai cancelli del Tribunale minorile di Torino: la battaglia di una madre di Settimo contro il distacco dal figlio (DIRETTA FACEBOOK)

Dal figlio collocato in comunità alle accuse di "inidoneità": la protesta estrema di Natalina Colangelo contro le scelte della giustizia minorile

Legata ai cancelli del Tribunale minorile di Torino: la battaglia di una madre contro il distacco dal figlio

Legata ai cancelli del Tribunale minorile di Torino: la battaglia di una madre contro il distacco dal figlio

La vicenda di Natalina Colangelo, 42 anni, residente a Settimo Torinese, si intreccia con una protesta pubblica ormai frequente e con un contesto sociale e istituzionale complesso. Tutto ha origine nel gennaio del 2020, quando il figlio minorenne, allora di 7 anni, è stato allontanato dalla famiglia per decisione del Tribunale per i Minorenni di Torino (con successivi provvedimenti confermati da altri gradi di giudizio) e collocato presso la struttura Centro Paolo VI di Casalnoceto (Alessandria). Secondo le sue dichiarazioni la decisione sarebbe partita da segnalazioni scolastiche e da un’accusa alla madre di essere «non idonea» all’esercizio della genitorialità, malgrado il bambino, affetto da ritardo cognitivo e iperattività, fosse già seguito da insegnante di sostegno ed educatore.

Da quel momento la madre ha avviato una lunga campagna di protesta, che ha incluso la permanenza in tenda davanti alla comunità che ospita il figlio, l’imbrattamento con vernice dell’ufficio dei servizi sociali del Comune di Settimo Torinese e denunce incrociate tra lei e l’amministrazione comunale. In un episodio del marzo 2024, ha lanciato litri di vernice rosa contro la sede dei servizi sociali, gridando «Dov’è mio figlio? Siete vigliacchi!». Al Comune è stata notificata una querela per «comportamenti aggressivi, minatori e persecutori».

Il nuovo capitolo della protesta si è consumato nei giorni scorsi: la signora Colangelo si è incatenata ai cancelli del Tribunale per i Minorenni di Torino, in corso Unione Sovietica, annunciando sciopero della fame e della sete e dichiarando: «Non andrò via finché non avrò la certezza che mio figlio torni a casa». È accompagnata dalla madre di 72 anni e utilizza un microfono per rivolgersi ai passanti e alle autorità. Il gesto – simbolico e straziante – richiama alla memoria la forma estrema di conflitto tra genitore e sistema di tutela minorile.

Puoi seguire la diretta cliccando qui.

La protesta evidenzia una tensione drammatica: da un lato, la fatica di una madre che si sente privata del proprio ruolo e denuncia, a suo dire, un abuso di potere delle istituzioni; dall’altro, la complessità delle decisioni che spettano ai magistrati e ai servizi sociali quando si tratta di minori in condizioni fragili. Non emergono pubblicamente tutti i dettagli tecnici degli accertamenti che hanno condotto all’allontanamento: la famiglia contesta che siano state rispettate trasparenza, continuità di visita, piano di reinserimento condiviso e dialogo effettivo. Gli atti mostrati indicano decisioni confermate in Cassazione, ma la madre denuncia contraddizioni e mancanza di risposte.

È una storia che pone anche interrogativi più ampi: quanto pesa l’interpretazione della “inidoneità” genitoriale? Quali strumenti garantiscono la partecipazione effettiva della famiglia nei processi di tutela? In che misura il bambino – affetto da bisogni speciali – ha accesso a relazioni stabili e a un progetto di vita comprensivo? La protesta pubblica di Colangelo – dal presidio all’imbrattamento, all’azione di sciopero davanti al tribunale – traduce un’urgenza personale che si fa domanda collettiva sull’equilibrio tra tutela del minore e diritto alla famiglia.

La giustizia minorile, infatti, richiede non solo la protezione del bambino ma anche la garanzia del legame con la famiglia quando questo è possibile. Eppure, nella denuncia della madre ricorre il timore che il figlio, ospitato in comunità, venga gestito come «problema da nascondere» piuttosto che come ragazzo da sostenere. Lei sostiene che «mio figlio diceva di essere bullizzato, invece di aiutarlo lo hanno portato via» e che non gli è più consentito un rapporto normale con la madre. Dall’altra parte le decisioni giudiziarie fanno riferimento a valutazioni multidisciplinari, ma non sempre ne viene garantita la piena comprensione e divulgazione pubblica.

In definitiva, la vicenda di Natalina Colangelo mette in luce l’inarrestabile dolore di una madre, la rigidità del sistema di tutela minorile e l’assenza di canali efficaci di confronto. Il presidio di protesta davanti al tribunale non è un evento isolato ma il culmine visibile di una battaglia lunga anni, che riguarda un figlio, una famiglia, e in filigrana il rapporto tra istituzioni e cittadino.

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