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Cronaca
21 Novembre 2025 - 11:26
48enne si suicida nella notte nel carcere delle Vallette. Osapp: “Sconfitta dello Stato e della legalità” (immagine di repertorio)
La notte tra mercoledì e giovedì si è chiusa con un’altra tragedia nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Un uomo di 48 anni, italiano, con precedenti periodi di detenzione, è stato trovato impiccato nella sua cella della decima sezione del padiglione C. Il decesso, confermato in piena notte, riapre una ferita che negli ultimi mesi non ha smesso di sanguinare: quella dei suicidi nelle carceri italiane, una delle principali cause di morte tra i detenuti e uno dei punti più fragili del sistema penitenziario.
Secondo la ricostruzione fornita dal Sappe, è stato un agente della Polizia penitenziaria, durante il giro di controllo intorno all’1.05, a notare che lo spioncino del blindo era bloccato. Ha aperto parzialmente la porta e visto l’uomo privo di sensi, con i segni evidenti del gesto estremo. Nel frattempo sono arrivati altri agenti e il personale sanitario interno, seguito dal 118, ma le manovre di rianimazione non hanno avuto esito. Intorno alle 2.30 i medici non hanno potuto fare altro che constatare il decesso. Il procedimento è nella fase iniziale delle indagini e vale la presunzione di innocenza per ogni elemento eventualmente oggetto di accertamento.
Il Sappe parla di un dramma che “ripropone interrogativi profondi sull’assistenza psicologica e sanitaria”, richiamando il ruolo sempre più ibrido cui è costretta la Polizia penitenziaria: primo soccorso, supporto psicologico, mediazione culturale, oltre ai compiti istituzionali. Una condizione che, nelle parole del sindacato, espone il personale a un sovraccarico ingestibile, in un contesto dove figure specialistiche non sono presenti in numero sufficiente per affrontare situazioni complesse o segnali di disagio.

Alle parole del Sappe si aggiungono quelle dell’Osapp, che definisce il suicidio “una sconfitta dello Stato e della legalità”. Il sindacato denuncia come nella sezione coinvolta, che ospita circa 440 detenuti, durante la notte fossero in servizio soltanto quattro agenti, uno per piano, ridotti di fatto a tre perché uno impegnato in una scorta esterna. Un organico così limitato, osservano, rende “impossibile garantire un controllo adeguato”, soprattutto in reparti sovraffollati, lasciando gli agenti “isolati nella gestione delle emergenze”.
Il caso di Torino si inserisce in un quadro più ampio che negli ultimi anni ha visto crescere attenzione e preoccupazione attorno al tema dei suicidi in carcere. Per i sindacati, le cause sono molteplici: sovraffollamento, quadri clinici psichiatrici complessi, assenza di personale specializzato, strutture non adeguate alla gestione del disagio mentale. Una combinazione che rende le celle, spesso, luoghi non solo di detenzione ma anche di fragilità estrema.
Nelle prossime ore la direzione del carcere, l’autorità giudiziaria e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria completeranno gli accertamenti interni previsti in casi come questo. Intanto, resta sospesa una domanda che attraversa ogni nuova tragedia: che cosa può essere fatto — e non è stato fatto — per intercettare i segnali e sostenere chi, nella solitudine della cella, non trova altre vie?
La notte di Torino lascia alle spalle un uomo morto, un reparto scosso e un’altra pagina che riporta al centro la questione delle condizioni di vita dietro le sbarre, non come tema astratto ma come nodo irrisolto che riguarda sicurezza, salute pubblica e dignità umana. Per chi in cella vive e per chi in quei corridoi lavora ogni giorno.
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