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Cronaca

Notte di fiamme e devastazione al Lorusso e Cutugno: tre rivolte in cinque ore

Incendi, sanitari distrutti, lanci di oggetti e un’altra aggressione nel pomeriggio: il SAPPE denuncia una situazione esplosiva e chiede interventi immediati

Notte di fiamme

Notte di fiamme e devastazione al Lorusso e Cutugno: tre rivolte in cinque ore

La notte più lunga del carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino si è consumata in cinque ore di tensione, fumo, devastazioni e paura. Tre rivolte consecutive hanno trasformato il Padiglione C in un campo di battaglia, costringendo gli agenti della Polizia Penitenziaria a operazioni complesse per contenere incendi, evacuare detenuti e ristabilire l’ordine. Un equilibrio fragile, riconquistato solo alle tre del mattino, senza feriti ma non senza conseguenze su un sistema che, denuncia il SAPPE, “non regge più”.

L’escalation comincia alle 22:30. Oltre trenta detenuti della 10ª sezione del Padiglione C appiccano le prime fiamme, un incendio di supporto a un recluso che si rifiuta di rientrare in cella. È il primo segnale di un clima incandescente che si espanderà rapidamente. Gli agenti intervengono, domano il rogo, riportano un’apparente calma. Ma mezz’ora dopo, alle 23:00, è la volta della 6ª sezione, dove un gruppo di detenuti incendia delle lenzuola, scatenando un fumo denso che invade corridoi e stanze. L’aria diventa irrespirabile e il personale è costretto a una delicata evacuazione di una quarantina di detenuti, operazione condotta con un sangue freddo che – come ripeteranno i sindacalisti – ha evitato una tragedia.

La situazione precipita definitivamente alle 00:30. Nella 10ª sezione si scatena un nuovo assalto: vengono appiccati altri incendi, vengono distrutti sanitari e tubazioni in più celle, oggetti vengono scagliati nei corridoi e contro gli agenti. È un clima da guerriglia, una sequenza di gesti violenti che trasforma il padiglione in un luogo ingovernabile. Solo alle 03:00, dopo l’allontanamento di uno dei detenuti considerati promotori dei disordini e grazie a un lavoro incessante e continuo, il carcere torna a respirare normalità.

Per raccontare quella notte serve la voce di chi l’ha vissuta in prima linea. Vicente Santilli, segretario per il Piemonte del SAPPE, parla di una “drammatica escalation” che ha messo a nudo la fragilità dell’intero sistema: «Solo alle 03:00 del mattino, dopo l'allontanamento di uno dei detenuti promotori e un incessante lavoro di contenimento, l'allarme è cessato e l'ordine è stato ripristinato. Nonostante la gravità degli scontri e il fumo, si registra l'assenza di feriti tra gli Agenti e i detenuti, un miracolo dovuto unicamente al coraggio e alla preparazione del personale». È un miracolo, lo ribadisce, arrivato grazie a uomini e donne costretti a essere “pompiere, mediatore e forza dell’ordine allo stesso tempo”, spesso senza strumenti adeguati.

E non è tutto. Lo stesso pomeriggio, nella 11ª sezione del Padiglione B, un altro detenuto – già noto per episodi di violenza – ha lanciato una sedia contro un agente subito dopo una telefonata. Il poliziotto è rimasto ferito alla tibia ed è stato portato in ospedale, dove ha ricevuto una prognosi di dieci giorni. È un episodio che si somma, che fa massa, che conferma un clima di aggressività diffusa.

Le parole di Santilli sono amare, ma nitide: «Quello che è successo a Torino non è un incidente, ma la conferma del collasso del sistema detentivo. Tre eventi critici, tra cui due incendi e un vero e proprio atto di guerriglia con lancio di oggetti e rottura di strutture, in sole cinque ore, mettono a nudo l'estrema precarietà in cui lavoriamo. Il nostro plauso va agli Agenti, che si sono dimostrati contemporaneamente pompieri, mediatori e forze dell'ordine, sventando un potenziale disastro e rischiando sé stessi senza ricevere un graffio. Ma è inaccettabile che la sicurezza e l'ordine siano garantiti dalla sola abnegazione del personale».

Poi la richiesta, ormai reiterata ma sempre più urgente: «Servono immediati rinforzi di personale, nuove dotazioni antisommossa e pene certe e severe per chi incendia, vandalizza e aggredisce il personale. Il tempo delle promesse è finito, si agisca subito per tutelare chi tutela lo Stato».

Un appello che trova eco nelle parole di Donato Capece, segretario generale del SAPPE. Anche lui esprime solidarietà agli agenti torinesi e denuncia un quadro che definisce insostenibile: «La delusione è profonda. Di fronte a episodi così gravi e frequenti non è più sufficiente esprimere dispiacere: servono misure urgenti e concrete. Nelle carceri della Nazione si deve ristabilire il rispetto della legalità e delle regole del sistema penitenziario. Il personale è allo stremo, logorato da turni massacranti, carichi di lavoro insostenibili e da una burocrazia che continua a penalizzare gli operatori in uniforme».

Capece punta l’attenzione su un altro nodo cruciale: l’aumento della violenza all’interno delle carceri. «È una violenza che non si placa – afferma – a causa di una popolazione detenuta che non rispetta più niente e nessuno». La soluzione, per il sindacato, passa anche per una revisione del regime detentivo di chi si rende protagonista di atti di devastazione e aggressione. Capece rilancia la necessità di una gestione più severa: trasferimenti in istituti ad alta sicurezza, applicazione del regime previsto dall’articolo 14 bis dell’ordinamento penitenziario, e – per i detenuti stranieri autori di aggressioni – scontare la pena nei rispettivi Paesi.

L’immagine che emerge è quella di un carcere trasformato in una polveriera, dove ogni scintilla rischia di generare incendi come quelli della notte appena trascorsa. Una struttura già sovraccarica, un organico ridotto all’osso, una popolazione detenuta difficile da gestire e un clima sempre più teso. La notte al Lorusso e Cutugno non è un episodio isolato, ma il sintomo più evidente di un sistema arrivato al limite.

E mentre le fiamme vengono spente e i corridoi ripuliti, resta aperta la domanda centrale: cosa succederà alla prossima scintilla?

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