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Cronaca

Processo Dembelé, si apre il caso del bracciante morto a Revello

Contestato l’impiego irregolare e la sicurezza del macchinario che lo uccise

Processo Dembelé

Processo Dembelé, si apre il caso del bracciante morto a Revello (foto di repertorio)

È una storia che torna a chiedere risposte dopo due anni di attesa, e oggi lo fa dentro un’aula di tribunale. A Cuneo è iniziata l’istruttoria per la morte di Moussa Dembelé, bracciante maliano di 29 anni, deceduto nel luglio del 2022 mentre lavorava in un’azienda agricola di Revello, nella pianura cuneese. Una vicenda che aveva acceso proteste, sollevato dubbi sui controlli nelle campagne e lasciato una comunità con troppe domande inevase.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Dembelé avrebbe battuto violentemente la testa contro un desilatore, il macchinario utilizzato per distribuire il mangime ai bovini, riportando un trauma cranico fatale. Il titolare dell’azienda è oggi imputato per omicidio colposo, un’accusa che poggia su due punti cardine: la dinamica dell’incidente e la posizione lavorativa della vittima.

Sul secondo aspetto la distanza tra accusa e difesa è netta. Per la procura, Dembelé era stato assunto “in nero” circa sei mesi prima dell’incidente, e quindi stava operando a tutti gli effetti come dipendente dell’impresa agricola. Per la difesa, invece, il giovane non era legato all’azienda da alcun rapporto formale di lavoro. Proprio su questo nodo si giocherà una parte sostanziale del processo, perché da esso dipendono non solo le responsabilità del datore, ma anche l’obbligo — o la mancata applicazione — delle misure di sicurezza previste dalla normativa.

Gli accertamenti iniziali condotti dai carabinieri, tramite il Nucleo Ispettorato del Lavoro, avevano rilevato che all’epoca dei fatti l’azienda agricola risultava ufficialmente priva di dipendenti. Una circostanza che contrasta con la ricostruzione della procura e con le testimonianze raccolte nei giorni successivi alla tragedia.

Dembelé era arrivato in Italia nel 2014. Negli ultimi mesi si era trasferito nel Saluzzese, a Rifreddo, come molti altri braccianti impegnati nella filiera agricola della frutta. La sua morte aveva immediatamente provocato una manifestazione spontanea a Saluzzo, epicentro del distretto cuneese, dove decine di lavoratori avevano chiesto più tutele, controlli e condizioni dignitose. Il caso, in quel momento, aveva riaperto il dibattito sulla sicurezza nelle campagne, un tema che ciclicamente ritorna nella cronaca della provincia.

Nel processo si sono costituiti parte civile il fratello della vittima, la vedova e le due figlie minorenni che vivono tuttora in Mali. La difesa ha sollevato un’eccezione sulla regolarità della costituzione delle due bambine, questione sulla quale il giudice si pronuncerà in una prossima udienza.

Ora il procedimento entra nel vivo. Saranno decisive le testimonianze dei lavoratori che conoscevano Dembelé, gli accertamenti tecnici sul macchinario e la documentazione raccolta nell’indagine sull’eventuale lavoro irregolare. L’aula del tribunale diventa così il luogo in cui ricostruire non solo la dinamica di un incidente, ma anche il contesto sociale e lavorativo che lo ha preceduto.

Il caso Dembelé, due anni dopo, resta emblematico di una provincia che vive tutte le contraddizioni della sua economia agricola: forza lavoro stagionale, precarietà, controlli spesso insufficienti e uno spazio pubblico in cui la voce dei braccianti fatica ancora a essere ascoltata.

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