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Cronaca
09 Novembre 2025 - 16:20
Dimitri Fricano torna ai domiciliari: il caso riaccende il dibattito tra salute, pena e diritti delle vittime
Torna ancora una volta ai domiciliari Dimitri Fricano, il 38enne di Biella condannato a 30 anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata Erika Preti, uccisa con 57 coltellate durante una vacanza a San Teodoro, in Sardegna, nel giugno del 2017. Il Tribunale di Sorveglianza di Torino ha disposto nuovamente la misura alternativa per motivi di salute, dopo che lo stesso Fricano era già stato posto ai domiciliari nel 2022 e poi rientrato in carcere otto mesi fa.

Erika Preti
Secondo i giudici, le condizioni dell’uomo non gli consentono di rimanere in cella: pesa circa 200 chili, soffre di gravi problemi di mobilità e di patologie croniche, tra cui apnee notturne, disturbo ansioso-depressivo da bulimia e un forte rischio cardiovascolare. A peggiorare il quadro, la sua dipendenza dal tabacco: come si legge negli atti, arriva a fumare fino a cento sigarette al giorno. Un quadro clinico complesso che ha spinto il tribunale a disporre la detenzione domiciliare nella casa della madre, in una frazione del Biellese.
Le condizioni imposte questa volta sono più rigide: nessun contatto con persone esterne alla famiglia e divieto assoluto di comunicazioni non autorizzate. L’uomo, già in passato, aveva suscitato sdegno e polemiche quando, durante i precedenti domiciliari, aveva incontrato la madre della vittima, che abita a pochi metri di distanza.

Dimitri Fricano oggi
Al momento dell’arresto, Fricano pesava circa 120 chili. In carcere, negli anni, le sue condizioni sono peggiorate fino a renderlo quasi incapace di muoversi senza l’aiuto di stampelle o carrozzina. I magistrati lo descrivono come un soggetto “non in grado di assolvere autonomamente le proprie necessità quotidiane”, bisognoso di cure e assistenza costante non compatibili con la detenzione ordinaria.
Già nel 2023, un’ordinanza simile aveva suscitato un’ondata di indignazione. In quell’occasione, il giudice aveva stabilito che Fricano non potesse restare alle Vallette perché “non in grado di ricevere l’assistenza necessaria”. Il documento elencava anche una lunga serie di problemi di salute, a partire da una meningite infantile e da un disturbo di personalità diagnosticato dopo la detenzione.
Durante le indagini, emerse che la furia omicida di Fricano si era scatenata dopo un banale litigio. Per settimane negò ogni responsabilità, fino alla confessione, arrivata un mese dopo, quando gli indizi contro di lui erano ormai schiaccianti. Nel 2020, la Corte d’Appello di Cagliari ha confermato la condanna a trent’anni.
Secondo gli psicologi che lo seguono, oggi Fricano mostra un “grande senso di colpa” verso Erika e la sua famiglia, pur dichiarando di non ricordare nulla del delitto. Ai magistrati avrebbe descritto la relazione come “appagante”, senza riuscire a spiegare il gesto. Gli esperti sottolineano come nel tempo egli abbia attribuito la causa dell’omicidio ai problemi mentali di cui soffre.
Rispetto alla condanna, Fricano ha scontato finora circa sette anni, compresi i quindici mesi di detenzione domiciliare già concessi in passato. Ora, di nuovo, sconterà la pena fuori dal carcere, protetto da motivazioni sanitarie che continuano a dividere l’opinione pubblica tra compassione e rabbia.
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