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29 Ottobre 2025 - 10:52
Stefano Scarpetta
La mattina dopo, le sacche di flebo erano ancora lì, appoggiate sui comodini come promemoria silenzioso di una notte senza cure. È un’immagine che pesa, più di qualsiasi verbale. Nelle intercettazioni raccolte dalla Guardia di Finanza, una voce – quella della primaria Tullia Baietto – ammette di aver trovato “qualcosa di losco”.
Parole che condensano l’intera inchiesta sull’ospedale di Settimo Torinese: un luogo dove, secondo gli atti della Procura di Ivrea, anziani fragili sarebbero stati lasciati soli, sedati senza prescrizione, curati con terapie errate e affidati a personale esterno privo della necessaria supervisione medica.
Il 23 febbraio 2022, la primaria di lungodegenza riceve l’avviso di garanzia. Al telefono con Michele Scusello, referente di Cm Service, società che gestiva il personale in corsia, si lascia sfuggire la frase che diventerà il simbolo del caso: «Qua c’è qualcosa di losco». In quella stessa conversazione, secondo gli atti, la dirigente ribadisce di aver già segnalato problemi gravi: «Non venivano somministrati i farmaci di notte, le sacche di flebo le trovavamo al mattino, i pazienti erano intontiti». Poi, con voce agitata, aggiunge: «E adesso io come ne esco?»

Gli inquirenti parlano di un reparto “autogestito” dal personale della Cm Service di Cascinette d’Ivrea, in cui il confine tra compiti pubblici e privati si sarebbe dissolto. Di notte – ipotizzano – le corsie diventavano zone d’ombra: pazienti sedati senza tracciabilità, turni coperti da personale non adeguatamente formato, terapie improvvisate. In più di un’occasione, la primaria avrebbe trovato flebo piene sui comodini, medicinali non somministrati e registrazioni infermieristiche mancanti.
Nelle intercettazioni compare anche Mia Damian Toader, coordinatrice infermieristica, pure lei indagata per maltrattamenti in concorso. È lei a riferire di un’infermiera che “mette le flebo di testa sua” e di un paziente con due flebo al posto di una.
In un’altra telefonata emerge il tema più inquietante: le fiale di potassio.
Scusello parla di un’infermiera licenziata che avrebbe minacciato di rivolgersi a un avvocato; per tutta risposta, lui si lascia andare a una frase pesantissima: «Se vuole continuare a lavorare deve mettere da parte l’ascia di guerra, altrimenti farò una segnalazione all’ordine dicendo che stava per uccidere un paziente con il potassio».
Un episodio che, se confermato, potrebbe trasformarsi in una delle contestazioni più gravi.
Secondo le carte, ci sarebbe stato anche un paziente trasferito d’urgenza in pronto soccorso e un decesso sospetto, attribuito – nelle conversazioni – a terapie sbagliate di una dottoressa. Tutto da verificare in sede giudiziaria, ma sufficiente per la Procura a formalizzare l’ipotesi di maltrattamenti, omissioni e vigilanza carente.
Il fascicolo su Settimo, però, non vive in isolamento. È solo uno dei capitoli della maxi inchiesta sulla “Sanitopoli” dell’Asl To4, che ha travolto ospedali e dirigenti tra il 2021 e il 2022. Trentasette, forse trentotto, o addirittura trentanove gli indagati, a seconda delle diverse qualifiche giuridiche. Nell’elenco figurano dirigenti, medici, funzionari e imprenditori privati, difesi da avvocati noti come Enrico Scolari, Claudio Strata e Alessandro Mattalia.
Il quadro tracciato dagli inquirenti va ben oltre il singolo reparto: appalti “viziati” per oltre 16 milioni di euro, concorsi pilotati, favori e scorciatoie per vaccinazioni “a richiesta” durante la pandemia. Tra i nomi più citati spunta quello di Carla Fasson, ex manager dell’Asl To4, figura centrale di un sistema di relazioni che – secondo gli atti – avrebbe incrociato politica, sanità e interessi privati. È lei che, in una delle conversazioni, si vanta di poter “aggiustare” una sanzione del Garante della privacy grazie al cugino Agostino Ghiglia, oggi membro dell’Autorità e uomo di riferimento di Fratelli d’Italia.
E non manca il nome di Stefano Piero Scarpetta, oggi direttore generale dell’Aso di Novara, ma all’epoca al vertice della To4, intercettato mentre si coordina con Fasson per esaudire la richiesta di Antonio Rinaudo, ex pm e commissario dell’Unità di crisi regionale, che chiede di far vaccinare “in fretta” un conoscente. L’operazione riesce e Scarpetta, soddisfatto, riferisce: «Mi ha scritto: grazie, gentilissimo per i vaccini».
Attorno al futuro dell’ospedale di Settimo ruotano anche appalti prorogati e gare mai partite, gestite dalla Saapa, società pubblico-privata partecipata dal Comune di Settimo, dall’Asl Città di Torino e dalla To4. Nei dialoghi intercettati emerge la preoccupazione dell’allora assessore regionale alla Sanità Luigi Icardi, oggi presidente della Commissione Sanità, che perde la pazienza al telefono: «Quando cazzo la fate la gara? Mi raccontate balle. Se continua così denuncio Scarpetta!» Un’ira che fotografa un sistema in stallo, dove i servizi venivano prorogati in modo “fraudolento” e dove – come dice l’amministratore di fatto di Cm Service, Massimo Cassinelli – “chiunque si aggiudichi l’ospedale, dovrà affidarsi comunque a noi. Altrimenti gli portiamo via tutti gli infermieri e rimangono senza”.
Sullo sfondo, i casi di assenteismo clamoroso: il dottor Libero Tubino, primario di otorinolaringoiatria, che avrebbe fatto timbrare il badge ad altri per poi andare a giocare a golf; la stessa Fasson, che risultava in servizio ma – secondo l’accusa – si recava dall’estetista o altrove. Reati contro la pubblica amministrazione che, veri o presunti, raccontano il clima che – secondo la Procura – aleggiava nei corridoi dell’Asl To4.
Tutti gli indagati, va ricordato, sono coperti dalla presunzione di innocenza e avranno modo di difendersi nelle sedi opportune. Ma la fotografia che emerge è impietosa: corsie gestite come aziende private, catene di comando confuse, un sistema di potere che, nel tentativo di “ottimizzare i costi”, avrebbe smarrito la bussola della responsabilità pubblica.
Il caso di Settimo riaccende così una domanda cruciale: fino a che punto è lecito esternalizzare pezzi di sanità pubblica? Quando la notte cala sui reparti e le luci si spengono, chi garantisce che nessuno venga lasciato solo con una flebo ancora piena accanto al letto?
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