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Cronaca
22 Ottobre 2025 - 12:43
Balangero, venti ragazzi si massacrano in strada... e gli adulti dove sono?
Una rissa tra due gruppi di ragazzi, una ventina in tutto, è avvenuto a Balangero la scorsa settimana. Una lite degenerata in violenza, con contusi e feriti, che ha riportato al centro del dibattito un tema sempre più urgente: il disagio giovanile. I protagonisti sarebbero in gran parte minorenni, provenienti non solo dal paese ma anche dai comuni vicini. Nessun bilancio grave, ma abbastanza per sollevare domande che vanno oltre i fatti di cronaca.
La dinamica precisa dello scontro non è stata ancora chiarita, ma gli elementi emersi bastano a definire il quadro: due gruppi contrapposti, tensione crescente, poi l’esplosione della violenza. In pochi minuti la calma di un piccolo centro si è trasformata in un campo di battaglia improvvisato. E il segnale che arriva da Balangero è chiaro: tra i giovani cresce un disagio che non può più essere ignorato.
Il sindaco Romeo, visibilmente preoccupato, ha commentato l’accaduto senza mezzi termini: «Sono molto dispiaciuto per l’accaduto. È lo specchio di un disagio emergente che deve obbligare tutti noi a riflettere». Parole che vanno oltre la semplice condanna morale, e che suonano come un richiamo a una responsabilità collettiva. Perché, come sottolinea il primo cittadino, non basta indignarsi per una rissa: serve capire da dove nasce.
Parlare di “disagio emergente” significa riconoscere che dietro quei pugni e quelle urla si nasconde un terreno più profondo: fragilità relazionali, isolamento, uso distorto dei social, assenza di spazi e mediazioni. Gli scontri non nascono dal nulla: spesso covano per settimane dietro schermi e chat, per poi esplodere in piazza o all’uscita di una scuola. In questo contesto, l’episodio di Balangero diventa una lente che mostra come la comunicazione tra i ragazzi stia cambiando, ma non sempre in meglio.
Il sindaco, però, invita a non fermarsi alla cronaca nera. La risposta, dice, non deve essere punitiva ma culturale. Serve una riflessione profonda che coinvolga istituzioni, famiglie, scuola e associazioni. Solo unendo le forze sarà possibile costruire un tessuto di prevenzione e ascolto capace di intercettare i segnali prima che si trasformino in violenza.
Perché, dopo una rissa, la tentazione è voltare pagina, archiviare, dimenticare. Ma le domande restano: come si arriva fin lì? Quali spazi di confronto vengono offerti ai ragazzi? E soprattutto, chi ascolta il loro malessere prima che esploda? A Balangero, come in tanti altri piccoli centri, i giovani spesso non trovano luoghi fisici o simbolici in cui esprimersi senza essere giudicati o etichettati. E quando il confronto manca, subentra la rabbia.
Dietro i feriti di questa rissa non ci sono solo nomi o referti medici: c’è il segnale di una comunità disorientata, che fatica a capire i propri adolescenti e si ritrova a commentare, impotente, ciò che avrebbe dovuto prevenire.
Balangero non è un caso isolato. Le risse tra giovanissimi si moltiplicano da mesi in molte province italiane, e ogni volta la reazione pubblica è la stessa: stupore, indignazione, silenzio. Poi, tutto si ripete. Forse è tempo di cambiare approccio: smettere di trattare questi episodi come “devianze da reprimere” e iniziare a considerarli segnali di un sistema che non ascolta.
La ferita lasciata da quella sera – fisica per chi ha riportato contusioni, morale per chi ha assistito – è un’occasione per interrogarsi. Perché la vera domanda non è chi ha iniziato, ma chi si è fermato ad ascoltare prima che accadesse.
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