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Cronaca

Dossier anonimi contro le toghe torinesi: l’investigatore privato Giovanni Carella va a processo

Il gup di Milano dispone il rinvio a giudizio per Giovanni Carella, accusato di diffamazione, calunnia e rivelazione di segreto d’ufficio: vittime pm e ufficiali di PG a Torino

quattro email e presunti dossier falsi: rinviato a giudizio l’investigatore Giovanni Carella

L’indagine che per mesi ha agitato i corridoi giudiziari tra Torino e Milano approda in aula. Il gup di Milano, Cristian Mariani, ha disposto il rinvio a giudizio di Giovanni Carella, investigatore privato accusato di essere il presunto “corvo” della procura di Torino: l’uomo avrebbe diffuso dossier anonimi e riservati contro alcuni magistrati e ufficiali della polizia giudiziaria in servizio nel capoluogo piemontese.

Carella dovrà comparire davanti ai giudici della decima sezione penale del Tribunale di Milano il prossimo 13 gennaio, per rispondere — in concorso con ignoti — dei reati di diffamazione, calunnia e rivelazione di segreto d’ufficio.

Secondo le indagini coordinate dalla procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano e condotte dai pm Giovanni Polizzi e Christian Barilli, Carella avrebbe inviato atti coperti da segreto d’ufficio a un ampio indirizzario di destinatari, comprendente diverse procure italiane.

Si tratterebbe di documenti accessibili solo a magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria e personale amministrativo della procura di Torino, dai quali emergerebbero accuse e sospetti rivolti a soggetti interni all’ufficio giudiziario.

Un’operazione che — secondo l’accusa — avrebbe avuto il chiaro intento di delegittimare alcuni esponenti della magistratura e dei carabinieri piemontesi, diffondendo informazioni coperte da vincolo di riservatezza e ricostruzioni giudicate “lesive dell’onorabilità” dei destinatari.

Al processo si costituiranno parte civile il Ministero della Giustizia, l’ex procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo, oggi in pensione, il pm Gianfranco Colace e il colonnello dei carabinieri Luigi Isacchini, comandante dell’aliquota di polizia giudiziaria dell’Arma in servizio presso la procura.

L'ex procuratore Generale di Torino, Francesco Saluzzo

Tutti sarebbero stati citati direttamente nei dossier trasmessi dall’investigatore, che secondo l’accusa li avrebbe descritti in modo falsato, insinuando sospetti di irregolarità e condotte improprie nell’ambito delle indagini torinesi.

Il procedimento milanese è competente in virtù della regola che affida alla giustizia del capoluogo lombardo i processi che coinvolgono magistrati e personale del distretto giudiziario piemontese, per evitare conflitti di competenza.

La vicenda si intreccia con il più ampio contesto delle indagini sui dossier “Arciere”, in cui erano stati inizialmente coinvolti alcuni pm torinesi, poi completamente prosciolti. Le accuse, archiviate nei mesi scorsi dal pm di Milano, erano state giudicate “inconsistenti” e prive di riscontri.

L’inchiesta su Carella, però, ha seguito un altro percorso. Gli inquirenti milanesi hanno raccolto elementi concreti sulla diffusione di documenti riservati, alcuni provenienti direttamente da procedimenti penali in corso a Torino. L’origine di quei file resta parzialmente sconosciuta — motivo per cui Carella risponde “in concorso con ignoti” — ma il tracciamento delle comunicazioni ha portato proprio a lui.

Secondo quanto emerso, l’investigatore avrebbe utilizzato indirizzi di posta elettronica e canali cifrati per inviare copie digitali dei documenti a un elenco di destinatari che includeva procure, uffici giudiziari e singoli magistrati.

Il dibattimento che si aprirà il 13 gennaio 2026 promette di essere uno dei più delicati dell’anno per il foro milanese. Al centro, non solo la figura di Carella, ma il tema della sicurezza dei dati giudiziari e della credibilità delle istituzioni inquirenti.

La diffusione di atti coperti da segreto, se confermata, costituirebbe una violazione grave dei protocolli di riservatezza, con potenziali ripercussioni sull’intero sistema di tutela delle indagini. D’altro canto, la difesa dell’investigatore — che ha sempre respinto le accuse — sostiene che le informazioni circolate non provenissero da canali ufficiali, ma da “fonti aperte” o “di pubblico dominio”.

Il caso del “corvo di Torino” è diventato, nel tempo, il simbolo di una frattura interna tra le componenti giudiziarie e investigative. Le accuse reciproche, le fughe di notizie e le campagne sotterranee di delegittimazione hanno contribuito a creare un clima di sospetto e diffidenza.

Per la magistratura torinese, la decisione del gup di Milano rappresenta un passaggio atteso. Molti tra i magistrati coinvolti parlano di un «atto dovuto» che restituisce «dignità e trasparenza» dopo mesi di illazioni.

Il dibattimento si aprirà con la testimonianza delle parti civili e con la produzione dei documenti sequestrati durante le indagini, da cui — secondo gli inquirenti — emergerebbero prove dirette dell’invio di materiale riservato.

Il processo Carella si inserisce in una fase già complessa per la giustizia piemontese, segnata da inchieste parallele e da un contesto di tensione interna tra procure e forze di polizia giudiziaria.

Nel frattempo, il presunto “corvo” si prepara ad affrontare un processo che — al di là della vicenda personale — solleva questioni cruciali: la gestione delle informazioni sensibili, il ruolo degli investigatori privati nel sistema giudiziario e il confine, sempre più labile, tra segreto d’ufficio e diritto di critica.

Il Tribunale di Milano, dal 13 gennaio, sarà chiamato a stabilire se Giovanni Carella sia stato davvero l’autore di quella rete di dossier anonimi che per mesi ha alimentato ombre e sospetti dentro e fuori la procura di Torino — o se dietro al “corvo” si nasconda, ancora, un volto diverso.

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