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Cronaca

Chivasso, primi arresti nella “zona rossa” della stazione: due uomini fermati per resistenza a pubblico ufficiale

La misura del prefetto Cafagna produce i primi risultati, ma in città resta aperto lo scontro politico. Prestìa accusa: “Solo fumo negli occhi”

Chivasso, primi arresti nella “zona rossa” della stazione: due uomini fermati per resistenza a pubblico ufficiale

Chivasso, primi arresti nella “zona rossa” della stazione: due uomini fermati per resistenza a pubblico ufficiale

La “zona rossa” istituita attorno alla stazione ferroviaria di Chivasso comincia a produrre i primi effetti. Nelle scorse ore, due uomini sono stati arrestati dalla Polizia ferroviaria di Torino con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale durante un controllo all’interno del perimetro del Movicentro, epicentro dei controlli disposti dal prefetto Donato Cafagna per contrastare microcriminalità, spaccio e bivacchi.

Si tratta di Cristian Caracciolo, 35 anni, e Valdenir Ilardi, 36, entrambi già noti alle forze dell’ordine. Secondo la ricostruzione fornita dalla Polfer, i due si sarebbero opposti con violenza al controllo di identificazione, reagendo contro gli agenti. Durante il successivo trasferimento negli uffici di Porta Nuova, avrebbero anche danneggiato una parte della caserma.

Il Tribunale di Ivrea ha convalidato gli arresti, ma ha disposto la scarcerazione dei due uomini, imponendo l’obbligo di firma. Si tratta dei primi provvedimenti scattati nella cornice della nuova “zona rossa”, istituita dalla Prefettura dopo mesi di segnalazioni e proteste da parte dei cittadini e dei pendolari.

La misura prefettizia, entrata in vigore il 20 settembre e valida fino al 20 dicembre, vieta la permanenza e lo stazionamento a chi sia già denunciato per reati gravi in un’area che comprende piazza Garibaldi, via Roma, piazzale Ceresa, via Ceresa, via Caluso e l’intero Movicentro. Il divieto si applica a chi adotta atteggiamenti aggressivi, molesti o minacciosi, con un sistema progressivo di sanzioni: 100 euro di multa e ordine di allontanamento per 48 ore alla prima violazione, 200 euro alla seconda, e denuncia penale ex art. 650 c.p. alla terza, per inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità.

Una stretta amministrativa che punta a restituire decoro e sicurezza all’area, ma che fin dal primo giorno ha suscitato dibattito politico e divisioni profonde tra maggioranza e opposizione.

A contestare l’efficacia del provvedimento è da tempo il consigliere comunale Bruno Prestìa, capogruppo di Per Chivasso, che aveva già raccolto duemila firme per chiedere un presidio fisso delle forze dell’ordine in stazione. Nella mozione discussa il 30 settembre in Consiglio comunale, Prestìa ha parlato di una misura “puramente simbolica”, priva di strumenti reali per garantire sicurezza ai cittadini.

La mozione, bocciata con soli quattro voti favorevoli e un astenuto, chiedeva pattugliamenti serali fissi della Polizia Municipale dalle 19 alle 24, il potenziamento dell’illuminazione pubblica nelle aree buie, l’installazione di nuove telecamere di sorveglianza, la creazione di una Commissione consiliare dedicata alla sicurezza e un migliore coordinamento operativo tra le forze dell’ordine.

Secondo Prestìa, senza la presenza visibile e costante degli agenti “la cosiddetta zona rossa resta solo fumo negli occhi”. L’opposizione ha denunciato la assenza di controlli regolari dopo il primo giorno di operatività del provvedimento: “Dopo la dimostrazione di forza, la sera stessa non c’era più nessuno. Non possiamo continuare a fare scena con i lampeggianti e poi lasciare i cittadini soli”.

Il consigliere ha anche ricordato episodi recenti che avevano scosso la città: un’operatrice delle pulizie aggredita, molestie agli operatori della biblioteca comunale, furti, bivacchi e risse nelle vicinanze della stazione. “Mai una parola di solidarietà verso le vittime da parte della maggioranza — aveva aggiunto Prestìa — e tra venti mesi, quando si voterà, dovrete dirlo ai cittadini”.

A quel punto, la risposta del sindaco Claudio Castello è arrivata con una frase destinata a restare nel dibattito cittadino: «Cosa dobbiamo ancora fare, chiedere l’aiuto delle teste di cuoio della NATO?».

Uno sfogo plateale, che però fotografa il livello di tensione politica sul tema sicurezza. Castello, di fronte alle accuse dell’opposizione, ha difeso con forza il lavoro svolto dal Comune e dalla Prefettura, ricordando che in pochi mesi si sono tenuti tre incontri del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica (COSP), che i cittadini hanno consegnato direttamente le firme al prefetto Cafagna, e che la Prefettura ha già definito ruoli e turni per tutte le forze dell’ordine.

Il Prefetto ha preso in mano la situazione — ha scandito Castello — ha definito chi fa che cosa, i turni, quando intervenire. Più del Prefetto non si può: è l’ordine massimo.

Il primo cittadino ha poi rivendicato che, negli ultimi mesi, “i Carabinieri stanno effettuando interventi ad alta intensità alla stazione”, e che “la Polizia Municipale accompagna le ragazze della biblioteca fino all’auto”, sostenendo che “il Comune ha già fatto più del dovuto”.

Dall’altra parte, Prestìa continua a denunciare la mancanza di continuità dei controlli e avverte del rischio di una “giustizia fai-da-te”: “Quando non intervengono le istituzioni, arriva la vendetta. È già successo con i bulli, può succedere anche alla stazione. Prima o poi qualcuno si incazzerà e prenderà soluzioni autonome. E ne saremo tutti responsabili.

La replica del sindaco non si è fatta attendere. Castello ha bollato quelle parole come “allarmistiche” e ha ribadito che “la sicurezza non si misura sui toni, ma sulle azioni già messe in campo”.

In Consiglio comunale, il confronto si è trasformato in un vero duello politico. Da un lato, l’opposizione che invoca presidi serali permanenti; dall’altro, la maggioranza che parla di risorse limitate e coordinamento interistituzionale. Nel mezzo, i cittadini, che continuano a denunciare episodi di degrado, furti e aggressioni nella zona della stazione e del Movicentro.

La stazione di Chivasso è da almeno tre anni una ferita aperta. In questo periodo si sono alternati tavoli, ordinanze, raccolte firme e proclami, ma la percezione diffusa è che poco sia cambiato. Ogni volta lo stesso copione: annuncio solenne, qualche giorno di controlli, poi il ritorno alla normalità.

L’ordinanza firmata dal Prefetto ha introdotto un modello di sicurezza basato su sanzioni progressive, ma senza arresti immediati. Gli stessi operatori di polizia riconoscono che, senza continuità e presenza, il rischio è che l’efficacia del provvedimento resti limitata nel tempo. Le multe da 100 o 200 euro, per soggetti spesso senza mezzi né fissa dimora, rischiano di essere solo un deterrente momentaneo.

Il Prefetto ha comunque previsto anche una componente preventiva, con rafforzamento della videosorveglianza, nuovi tavoli istituzionali e progetti di educazione alla legalità rivolti ai giovani. Ma, come ha osservato più volte l’opposizione, “senza pattuglie visibili e costanti”, la zona rossa rischia di restare un guscio vuoto.

Dopo i primi arresti, l’attenzione torna ora sulla tenuta del dispositivo. I controlli interforze di queste settimane — con Polfer, Carabinieri e Polizia Municipale — hanno portato a numerosi identificati e allontanamenti, ma anche a nuove polemiche sulla reale efficacia della misura.

Le prossime settimane saranno decisive per capire se la “zona rossa” diventerà un presidio stabile di legalità o resterà l’ennesimo tentativo temporaneo di arginare un problema che dura da anni.

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