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Cronaca
20 Ottobre 2025 - 14:22
Morte di Moussa Balde al Cpr di Torino: “L’Ospedaletto sembrava uno zoo” (foto: Moussa Balde)
«L’Ospedaletto del Cpr di Torino sembrava un vecchio zoo». Così Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà dal 2016 al 2024, ha descritto oggi davanti ai giudici del tribunale subalpino le condizioni del Centro di permanenza e rimpatrio di corso Brunelleschi, dove nel 2021 perse la vita Moussa Balde, un giovane migrante morto suicida pochi giorni dopo il suo ingresso nella struttura.
Palma, ascoltato come testimone nel procedimento penale per omicidio colposo, ha ribadito quanto già scritto in una relazione ufficiale del 2018, documento in cui definiva l’Ospedaletto “la peggiore situazione d’Europa” tra i luoghi di detenzione amministrativa visitati in quegli anni. «La sensazione – ha detto – era quella di trovarsi davanti a un posto indegno, dove le persone venivano chiuse in stanze anguste, spoglie e disumane, con griglie di ferro e un odore di chiuso che ricordava più un serraglio che un luogo di cura o sorveglianza».
Mauro Palma
Il riferimento all’“Ospedaletto” non è casuale. Si tratta dell’ala del Cpr destinata all’isolamento sanitario o disciplinare, dove Moussa Balde venne rinchiuso dopo essere stato aggredito da tre connazionali a Ventimiglia e trasferito a Torino in condizioni già precarie. Secondo l’accusa, la permanenza in quell’area, priva di adeguata assistenza e vigilanza, sarebbe stata determinante nel suicidio del giovane.
Alla sbarra ci sono l’ex direttrice del centro e un medico, chiamati a rispondere di omicidio colposo per mancata sorveglianza sanitaria. Secondo la ricostruzione della Procura, le condizioni psicofisiche di Moussa avrebbero imposto una vigilanza costante, che però non ci fu.
Durante la deposizione, Palma ha ricordato di aver visitato più volte il Cpr torinese negli anni del suo mandato. «Quel luogo – ha detto – appariva inadeguato già da tempo. L’Ospedaletto era uno spazio strutturato male, privo di luce naturale e con grate che impedivano ogni forma di dignità umana. Avevo segnalato più volte la necessità di chiuderlo o riconvertirlo, ma nulla è cambiato».
Le sue parole hanno suscitato commozione e indignazione tra i presenti in aula, dove erano presenti anche esponenti delle associazioni per i diritti dei migranti. La figura di Moussa Balde resta, a distanza di quattro anni, il simbolo di un sistema di trattenimento amministrativo spesso denunciato per le sue condizioni estreme.
Il processo, che prosegue nei prossimi mesi, punta a chiarire se vi siano state negligenze gestionali o sanitarie tali da rendere evitabile la morte del giovane. Intanto, le parole di Palma riportano in primo piano un tema che travalica le aule giudiziarie: quello della dignità umana nei luoghi di detenzione amministrativa, spesso invisibili ma al centro di un dibattito civile e politico ancora aperto.
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