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18 Ottobre 2025 - 14:58
Mara Favro aveva 51 anni
La Procura di Torino ha chiesto l’archiviazione del fascicolo sulla morte di Mara Favro, la 51enne originaria di Susa, scomparsa nella notte fra il 7 e l’8 marzo 2024 e ritrovata senza vita un anno dopo, nel marzo 2025, in fondo a un dirupo tra i boschi di Gravere, in Alta Valle di Susa. Dal quinto piano del Palazzo di giustizia è partita una comunicazione ai familiari — che si sono costituiti come persone offese assistite dall’avvocato Roberto Saraniti — ma non ancora il provvedimento formale. Non è stato chiarito, al momento, se si tratti di una richiesta di archiviazione parziale o totale del fascicolo, ma il segnale appare chiaro: per i magistrati, dopo oltre un anno di indagini, non ci sono prove sufficienti per sostenere l’accusa di omicidio. Il caso, che per mesi aveva tenuto col fiato sospeso l’intera Valle, sembra dunque avviarsi verso un epilogo giudiziario privo di colpevoli. Ma per i familiari di Mara — una donna descritta da tutti come solare, generosa, innamorata della vita e soprattutto della figlia di dieci anni — la parola “archiviazione” suona come una condanna all’oblio.
L’8 marzo 2024 Mara era uscita dal turno serale nella pizzeria “Il Centro” di Chiomonte, dove lavorava da poco più di una settimana. Aveva riferito ad alcuni colleghi che la sua auto non partiva e, secondo quanto ricostruito, avrebbe deciso di fare autostop per tornare a casa. Da quel momento, di lei non si è saputo più nulla. Il suo cellulare si spense alle 23:48 e l’ultima cella telefonica la agganciò nei pressi di Gravere, un’area boschiva e impervia a pochi chilometri dal confine francese. Le ricerche durarono settimane, coordinate dai carabinieri e dai volontari del soccorso alpino, ma senza alcun esito. Solo a distanza di un anno, nel febbraio 2025, alcuni escursionisti rinvennero resti ossei e oggetti personali – tra cui un paio di occhiali e un reggiseno – in una zona scoscesa, a circa 60 metri di profondità. Il test del DNA confermò, il 7 marzo, che quei resti appartenevano a Mara Favro.
L’autopsia, eseguita presso l’istituto di medicina legale dell’Università di Torino, non ha però fornito le risposte attese. Gli esperti parlarono di “traumatismo da precipitazione”, rilevando fratture multiple a cranio, bacino, vertebre e femore. Tuttavia, non fu possibile stabilire se la caduta fosse stata accidentale, provocata o volontaria. Le ossa, troppo danneggiate e incomplete, non consentivano un’analisi più precisa. Nel registro degli indagati erano finiti Vincenzo “Luca” Milione, titolare della pizzeria, e un altro dipendente, Cosimo Esposito. Entrambi si erano sempre proclamati innocenti, sostenendo di non avere avuto nulla a che fare con la scomparsa della donna. “Credevamo molto nell’archiviazione”, ha dichiarato l’avvocato Luca Calabrò, legale di Milione, dopo la notizia. “Non sono mai emersi elementi concreti a suo carico, solo illazioni e sospetti”. Anche l’avvocato Elena Piccatti, che assiste Esposito, ha ribadito la totale estraneità del suo assistito: “Non c’è mai stato alcun indizio che potesse giustificare una richiesta di rinvio a giudizio. Il nostro auspicio è che la Procura chiuda definitivamente questa vicenda”.
Eppure, nei mesi successivi alla scomparsa, non erano mancate zone d’ombra e testimonianze inquietanti. Alcuni testimoni riferirono che il titolare, in passato, avrebbe pronunciato frasi come “Io so come si fa a far sparire una persona”. Parole che, all’epoca, avevano alimentato dubbi e sospetti, ma che non trovarono mai un riscontro concreto. Nel fascicolo, coordinato dal sostituto procuratore di Torino, erano confluiti numerosi elementi: tabulati telefonici, testimonianze di colleghi e clienti, analisi dei dati GPS e ricostruzioni del traffico stradale. Ma nessuno di questi ha portato a una certezza. I messaggi inviati da Mara la sera della scomparsa restano oggetto di discussione: alcuni familiari e amici li ritengono “anomali”, scritti con uno stile che non le apparteneva. In particolare, un messaggio in cui avrebbe detto di voler “mollare il lavoro” e “staccare un po’ la spina” non convince chi la conosceva bene. “Mara non avrebbe mai abbandonato sua figlia, né il suo impiego. Era una donna determinata, stanca forse, ma felice”, ripetono i parenti.
Gli inquirenti avevano anche valutato la possibilità di un incidente: un passo falso in un’area buia e pericolosa, magari mentre cercava aiuto o un passaggio. Ma la località in cui è stata ritrovata — isolata, inaccessibile a piedi, e lontana dal suo probabile percorso — ha sempre fatto pensare a una mano esterna. Le verifiche tecniche e scientifiche, i rilievi dei Ris di Parma e le ispezioni sul luogo del ritrovamento non hanno mai chiarito se il corpo sia caduto lì o sia stato trasportato e gettato successivamente. Le tracce di terriccio e fogliame sui pochi vestiti ritrovati, secondo gli esperti, non erano compatibili con una lunga permanenza in quel punto, ma neppure sufficienti a dimostrare uno spostamento postumo.
Così, dopo mesi di silenzio, la Procura ha deciso di chiudere il fascicolo. Ma per chi conosceva Mara, il dubbio resta. La figlia, la madre e i fratelli, assistiti dal legale Saraniti, annunciano che si opporranno alla richiesta di archiviazione, chiedendo nuovi accertamenti. “Non vogliamo vendette — hanno detto — ma la verità. Solo quella ci permetterà di lasciarla andare davvero.” Il caso di Mara Favro resta uno dei misteri più dolorosi e irrisolti del Piemonte recente. Una donna scomparsa nel nulla, ritrovata solo un anno dopo in circostanze mai chiarite. Nessun movente, nessuna confessione, nessun colpevole. Solo una serie di domande che continuano a tormentare chi l’ha amata: cosa è successo davvero quella notte di marzo? Un mistero che oggi rischia di finire in un archivio giudiziario, ma che — per la Valle di Susa e per chi chiede ancora giustizia — non è affatto chiuso.
L'avvocato Roberto Saraniti
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