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Cronaca
17 Ottobre 2025 - 14:26
Carcere di Ivrea, sequestrato smartphone acceso in cella: “È un call center illegale, servono schermature e più agenti”
Un telefono cellulare perfettamente funzionante, con messaggi in arrivo al momento del sequestro, è stato trovato all’interno di una cella della Casa Circondariale di Ivrea. L’episodio, avvenuto nel pomeriggio del 16 ottobre 2025, è solo l’ultimo di una lunga serie che evidenzia la fragilità del sistema penitenziario e la crescente difficoltà del personale di Polizia Penitenziaria nel fronteggiare la diffusione di dispositivi tecnologici tra i detenuti.
L’operazione, condotta dal personale di servizio durante un controllo mirato nel primo piano destro del carcere, ha portato al rinvenimento di uno smartphone di grandi dimensioni, ancora acceso e operativo, nascosto tra gli indumenti sporchi in una cella occupata da due detenuti italiani. Entrambi sono stati denunciati a piede libero, mentre il telefono è stato sequestrato e messo a disposizione dell’autorità giudiziaria.
A dare notizia del sequestro è l’OSAPP (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), che da tempo denuncia una situazione definita “fuori controllo” all’interno dell’istituto eporediese. Secondo la segreteria del sindacato, il carcere di Ivrea sarebbe diventato un “call center illegale”, un luogo dove le comunicazioni non autorizzate con l’esterno avvengono con troppa facilità.
Il ritrovamento dello smartphone conferma le preoccupazioni già espresse nei mesi scorsi dagli agenti e dalle sigle sindacali: i telefoni cellulari rappresentano oggi una delle principali minacce alla sicurezza interna delle carceri italiane. Consentono ai detenuti di mantenere contatti con l’esterno, organizzare traffici, intimidire testimoni o coordinare attività criminali, anche a centinaia di chilometri di distanza.
Nel caso di Ivrea, i rappresentanti dell’OSAPP parlano apertamente di una falla strutturale nel sistema di controllo. Mancano tecnologie adeguate per impedire la trasmissione dei segnali e le telecamere interne non coprono tutte le aree sensibili. L’assenza di sistemi di schermatura del segnale telefonico, già adottati in altri Paesi europei, lascia spazio a un mercato nero che, secondo diverse indagini, si alimenta sia all’interno che all’esterno delle mura carcerarie.
Ma a preoccupare non è solo la facilità con cui i dispositivi entrano nelle celle — spesso nascosti nei pacchi, nei vestiti o introdotti durante i colloqui — bensì la carenza cronica di personale. Gli agenti in servizio a Ivrea operano con organici ridotti all’osso, turni massacranti e poche risorse. L’istituto ospita centinaia di detenuti, molti dei quali classificati come ad “alto rischio”, mentre il numero di agenti non è sufficiente a garantire un controllo capillare.
L’OSAPP sottolinea come questa carenza metta a rischio non solo la sicurezza interna, ma anche la salute psicofisica del personale. Senza rinforzi e senza strumenti adeguati, la gestione quotidiana del carcere diventa un compito impossibile, soprattutto in presenza di episodi ricorrenti come quello di ieri.
Il sindacato chiede interventi immediati da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, a cominciare dall’adozione di tecnologie anti-segnale per impedire le comunicazioni illecite e dal potenziamento degli organici. Secondo l’OSAPP, è ormai indispensabile una riforma strutturale che affronti il problema alla radice: controllo dei flussi, verifiche più rigorose sui pacchi in ingresso, e un investimento serio sulla sicurezza elettronica.
Il carcere di Ivrea non è nuovo a episodi di questo tipo. Negli ultimi due anni, i sequestri di cellulari, schede sim e microdispositivi di comunicazione sono stati numerosi, segno di una diffusione sistematica. In un contesto già segnato da sovraffollamento, tensioni e carenze organizzative, ogni nuovo caso rappresenta una falla nella credibilità del sistema penitenziario.
Il ritrovamento del 16 ottobre diventa così un campanello d’allarme per tutto il comparto: la sicurezza delle carceri italiane non può più basarsi solo sulla buona volontà degli agenti, ma deve passare attraverso tecnologie moderne, formazione e organici adeguati.
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