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Cronaca
14 Ottobre 2025 - 15:02
Non cammina più dopo il vaccino Covid: riconosciuto indennizzo ad una 52enne di Cuneo
Una sentenza destinata a far discutere, non solo nei tribunali ma anche nel dibattito pubblico. Il Tribunale civile di Asti ha riconosciuto per la prima volta in Piemonte il nesso di causa tra la vaccinazione anti-Covid e un grave danno neurologico permanente in una donna di 52 anni di Alba, titolare di una tabaccheria, oggi impossibilitata a camminare. Una decisione che non mette in discussione l’efficacia generale dei vaccini, ma apre uno squarcio sul tema – ancora poco affrontato – della tutela di chi ha riportato effetti avversi gravi dopo la somministrazione.
La sentenza, depositata il 26 settembre scorso, obbliga il Ministero della Salute a corrispondere alla donna un indennizzo di circa 3.000 euro al mese, con cadenza bimestrale. Non si tratta di un risarcimento, ma di un indennizzo previsto dalla legge 210 del 1992, che tutela i cittadini danneggiati da vaccinazioni, trasfusioni e somministrazioni obbligatorie o raccomandate.
La decisione arriva dopo quasi tre anni di attesa, e rappresenta un punto fermo nel contenzioso aperto tra i legali della donna e l’amministrazione sanitaria. L’istanza iniziale di indennizzo, presentata nel 2022, era stata respinta in sede amministrativa, costringendo la 52enne ad agire in via giudiziale.
A difenderla lo studio legale Ambrosio & Commodo di Torino, con gli avvocati Renato Ambrosio, Stefano Bertone, Chiara Ghibaudo e Stefania Gianfreda, che hanno condotto un lungo lavoro di documentazione clinica e legale. «I consulenti tecnici nominati dal Tribunale sono professionisti terzi e imparziali – spiega l’avvocato Bertone – e hanno concluso per un nesso di causa molto forte fra l’evento e il danno grave subito».
Secondo quanto emerso dagli atti, la donna è affetta da mielite trasversa, una patologia rara che colpisce il midollo spinale provocando una grave infiammazione dei nervi e, nei casi più severi, paralisi degli arti inferiori. I primi sintomi erano comparsi poche settimane dopo la seconda dose del vaccino Comirnaty (Pfizer-BioNTech), somministrata nell’aprile del 2021.
Il 10 febbraio 2022 la 52enne era stata ricoverata all’ospedale di Orbassano (Torino) per una “sospetta mielite di natura infiammatoria”. Nella lettera di dimissioni del 17 febbraio, il medico curante aveva scritto una frase che oggi appare determinante: “Non è escludibile un ruolo scatenante vaccinico”.
Da quella nota era partita la richiesta di indennizzo, rigettata però dal Ministero della Salute e dall’Aifa, rappresentati in giudizio dall’Avvocatura dello Stato. Il rigetto aveva spinto la donna a rivolgersi al Tribunale, che ha nominato come consulenti tecnici d’ufficio i dottori Agostino Maiello e Stefano Zacà.
Entrambi i consulenti, dopo l’analisi dei referti e delle cartelle cliniche, hanno confermato la correlazione temporale e causale tra la vaccinazione e la comparsa della mielite. Hanno definito “molto forte” il nesso di causa, escludendo altre patologie pregresse o fattori scatenanti alternativi.
Uno degli elementi più convincenti per il giudice è stata la ridotta distanza temporale tra la seconda dose e la comparsa dei sintomi: poche settimane. La sentenza cita inoltre i dati del database dell’Aifa, che al 2022 aveva registrato 593 casi di mielite trasversa segnalati dopo la vaccinazione, di cui 280 associati ai vaccini a mRna.
L’avvocato Bertone spiega che «sono stati individuati casi isolati in cui il vaccino con virus inattivo e quelli a base di mRna hanno provocato sindromi acute di demielinizzazione del midollo spinale, come la sclerosi multipla o la neuromielite ottica».
Anche l’European Medicine Agency, in un comunicato ufficiale, aveva riconosciuto la possibilità di un legame. «Il comitato ha esaminato le informazioni disponibili sui casi segnalati a livello globale e, alla luce della letteratura scientifica, ha concluso che la relazione causale tra i vaccini e la mielite trasversa è almeno ragionevolmente possibile», ricorda ancora Bertone.
Oggi la 52enne vive su una sedia a rotelle. «I danni fisici permanenti patiti sono davvero gravi: basti pensare che la signora non deambula più da sola», spiega l’avvocata Chiara Ghibaudo. «L’indennizzo erogato dallo Stato le permetterà di far fronte ad almeno una piccola quota della sofferenza che affronta ogni giorno».
Il legale Renato Ambrosio, che da anni si occupa di cause legate ai danni da dispositivi medici e farmaci, sottolinea la portata giuridica del provvedimento: «Il nostro studio assiste da tempo chi ha subito gravi conseguenze sulla salute a causa di prodotti farmaceutici. Questo caso conferma che la giustizia può riconoscere la sofferenza delle persone, senza negare il valore collettivo della campagna vaccinale».
Il giudice ha precisato che la sentenza non costituisce una condanna risarcitoria, ma un riconoscimento del diritto all’indennizzo. La differenza non è solo formale: nel primo caso lo Stato ammette una responsabilità diretta; nel secondo riconosce un danno collaterale di un’azione di interesse pubblico.
In altre parole, la vaccinazione resta uno strumento di tutela collettiva, ma chi subisce un danno grave non può essere lasciato solo. È un principio fissato già nel 1992, quando – sull’onda delle battaglie legate ai vaccini obbligatori per l’infanzia – il Parlamento stabilì che la solidarietà nazionale dovesse estendersi anche a questi casi.
La sentenza di Asti ribadisce dunque un diritto già esistente, ma raramente applicato con questa chiarezza in relazione ai vaccini anti-Covid.
Il collegio tecnico, nel motivare la propria decisione, ha richiamato la letteratura scientifica internazionale che documenta episodi di mielite post-vaccinazione. Pur restando casi isolati, la loro esistenza impone cautela e trasparenza.
Il dottor Agostino Maiello, neurologo, ha sottolineato come il quadro clinico della donna rientri nei casi di mielite trasversa acuta “a insorgenza rapida”, in cui l’infiammazione compromette la trasmissione nervosa nel midollo spinale. Il collega Stefano Zacà, specialista in medicina legale, ha ribadito che la “sequenza temporale” è «altamente compatibile con una reazione immunitaria post-vaccinale».
In sostanza, la reazione autoimmune innescata dal vaccino avrebbe attaccato il tessuto nervoso del midollo, causando una lesione irreversibile.
Il caso di Alba riaccende il dibattito sulla trasparenza dei dati sanitari e sul diritto all’informazione completa. Le segnalazioni di effetti avversi gravi, pur numericamente esigue rispetto ai milioni di dosi somministrate, richiedono una gestione chiara e tempestiva.
Il tema divide da tempo l’opinione pubblica, ma la giurisprudenza tende a muoversi su un terreno di equilibrio: riconoscere il diritto individuale senza delegittimare la scelta collettiva della vaccinazione.
In questo senso, la sentenza di Asti potrebbe diventare un precedente giuridico importante per altre persone che si trovano in condizioni analoghe e che, fino ad oggi, hanno visto respinte le proprie istanze.
Non è il primo caso in Italia, ma certamente è uno dei più significativi. Già nel 2023 altri tribunali avevano accolto ricorsi simili, ma senza il medesimo grado di motivazione tecnica e scientifica. L’ampio richiamo alle fonti mediche e alle statistiche dell’Aifa fa di questa sentenza un documento di riferimento.
Il giudice ha riconosciuto che, pur nella difficoltà di stabilire un rapporto di causa-effetto assoluto, la “ragionevole certezza scientifica” raggiunta dai consulenti costituisce una base sufficiente per l’indennizzo.
Un principio che potrà essere invocato anche da altri cittadini che, a seguito della vaccinazione anti-Covid, abbiano subito conseguenze simili e intendano chiedere il riconoscimento del diritto previsto dalla legge.
Dietro la battaglia legale c’è la storia di una donna che oggi vive con gravi limitazioni motorie, costretta a reinventare la propria quotidianità. Ex commerciante, madre di famiglia, ha visto la propria autonomia svanire nel giro di pochi mesi.
La sua vicenda, raccontano i legali, non è mai stata animata da spirito di rivalsa, ma dal desiderio di ottenere giustizia e riconoscimento. «Non vogliamo processare la scienza – ha precisato l’avvocato Bertone – ma ricordare che la scienza è credibile solo se accetta di misurarsi anche con i suoi errori».
La decisione del Tribunale di Asti rappresenta un equilibrio delicato tra fiducia nella medicina e tutela del cittadino. Non mette in discussione la campagna vaccinale, che ha salvato milioni di vite, ma riafferma un principio di civiltà: quando un trattamento raccomandato dallo Stato causa un danno, è lo Stato a dover sostenere chi ne subisce le conseguenze.
In un periodo in cui il tema della responsabilità sanitaria è spesso oggetto di tensione e disinformazione, la sentenza riporta il discorso su un piano di diritto, evidenza e umanità.
Il caso di Alba non è un attacco ai vaccini, ma un appello alla coerenza istituzionale: chi chiede fiducia ai cittadini deve saperla restituire, anche nei momenti più difficili.
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