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02 Agosto 2025 - 16:58
C’è una città spaccata tra l’ideale e il reale, tra ciò che proclama e ciò che permette. Da una parte Askatasuna, centro sociale occupato che incarna la memoria delle lotte civili, del diritto alla casa, della cultura resistente. Dall’altra la CBS, scuola calcio che da quarant’anni forma generazioni di ragazzi attraverso lo sport, la disciplina e il senso di appartenenza. Eppure, mentre la prima resta al centro delle attenzioni istituzionali, la seconda rischia di scomparire, sacrificata sull’altare di un presunto rilancio sportivo fondato sul business. Che cosa le accomuna? L’essere luoghi vivi, presìdi civili in una città che troppo spesso dimentica chi la abita davvero!
Entriamo nel dettaglio. Askatasuna è stato occupato nel 1996 e rappresenta, nonostante i conflitti e le inchieste, una proposta di co-progettazione e co-gestione tra Comune e cittadini. Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo lo ha definito un “atto coraggioso” e un esempio di legalità partecipata: un ex edificio abbandonato trasformato, almeno nelle intenzioni, in spazio per eventi, laboratori, attività sociali e sportelli di prossimità, con il rispetto delle normative di sicurezza e un patto di custodia condivisa.
Nonostante l’amministrazione abbia approvato la delibera, la Regione Piemonte - guidata dal centrodestra - ha risposto con minacce esplicite di taglio fondi se il Comune non farà marcia indietro sulle regole che consentono la cogestione dei beni occupati. Non è legittimo chiederle conto? Con quale coerenza, allora, si può ignorare il valore sociale della CBS?
La storica scuola calcio di corso Sicilia ha presentato un piano da 1,3 milioni di euro, completamente autofinanziato, per riqualificare l’impianto che ospita circa 500 giovani atleti e le loro famiglie. Il progetto è stato approvato ad aprile 2025, ma tutto è fermo in attesa di una decisione finale da parte dell’amministrazione. A settembre si deciderà se mantenere il calcio oppure destinare l’area a campi di padel o pickleball ad uso privato-commerciale.
È una beffa politica: il calcio giovanile - simbolo di promozione sociale, inclusione, rigore, valori educativi - è sospeso da mesi per la paralisi della macchina comunale. Nel frattempo, soldi pubblici e sogni di una comunità restano bloccati.
Eppure, tra Askatasuna e la CBS esiste un fil rouge silenzioso: entrambe sono espressioni di cittadinanza attiva, di costruzione dal basso. La differenza? La prima è diventata una bandiera ideologica, difesa a gran voce; la seconda, fatta di bambini, allenatori e famiglie, rischia di finire nel silenzio assordante del profitto.
Di fronte a questo stallo, famiglie, educatori, cittadini e simpatizzanti hanno lanciato una petizione pubblica per salvaguardare la CBS. L’iniziativa, attiva su Change.org, chiede al Comune di rigettare le proposte speculative che prevedono la soppressione dei campi da calcio a favore di strutture private. È un appello accorato per tutelare un punto di riferimento storico per l’intero quartiere.
Per firmare la petizione: change.org/difendiamo-la-storia-e-il-futuro-della-cbs
Il sindaco Lo Russo parla spesso di rigenerazione urbana, di responsabilità civica, di bene comune. Ma allora perché il Comune esita su un progetto che ha già tutto: visione, fondi, radicamento sociale? Perché un centro sociale viene sostenuto con determinazione, e un presidio sportivo viene lasciato nell’incertezza? La coerenza non si misura a parole, ma nei fatti.
Torino ha bisogno di scelte chiare: o si difende la CBS, riconoscendole il valore che merita, oppure si dica apertamente che conta meno degli interessi privati. Askatasuna e CBS sono due volti diversi della stessa città, ma non si può celebrare uno mentre si condanna l’altro all’oblio. Se davvero Torino vuole essere una città che accoglie e rigenera, il primo passo è dare risposte concrete ed anche veloci.
È tempo che il Comune decida da che parte stare: con le famiglie, i bambini e la comunità... o con chi punta solo a monetizzare ogni metro quadro di spazio pubblico. Sembrerebbe che, a Palazzo di Città, regni ancora un po’ di confusione.
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