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Cronaca
18 Settembre 2025 - 15:05
Mottarone, tre patteggiamenti e due proscioglimenti. I familiari: "Vite svalutate" (immagine di repertorio: l'incidente)
Il 18 settembre la vicenda giudiziaria della tragedia del Mottarone compie un passo che ha già sollevato polemiche e amarezza. Non siamo a una sentenza definitiva: il procedimento si è fermato all’udienza preliminare, davanti al GUP di Verbania, Gianni Macchioni, che ha accolto i patteggiamenti per tre imputati e disposto il proscioglimento per altri due. In termini pratici, non ci sarà un dibattimento pubblico, non verranno ascoltati testimoni, non si entrerà nel merito in un’aula di tribunale: il processo si chiude qui, almeno per loro.
Sono stati accolti i patteggiamenti a 3 anni e 10 mesi di Luigi Nerini, titolare della Ferrovia del Mottarone, a 4 anni e 11 mesi di Enrico Perocchio, direttore d’esercizio, e a 4 anni e 5 mesi di Gabriele Tadini, capo servizio. Nessuno di loro finirà in carcere. Allo stesso tempo, il GUP ha disposto il proscioglimento di Martin Leitner e di Peter Rabanser, vertici della società altoatesina che aveva realizzato e seguito la manutenzione dell’impianto.
Una decisione che ha scosso i familiari delle vittime. Vincenza Minutella, madre di Silvia Malnati, una delle 14 persone morte il 23 maggio 2021, ha pronunciato poche parole all’uscita dall’aula: “Questo è il valore che danno alla vita delle persone”. Parole dure, che esprimono il senso di giustizia mancata avvertito da chi, in quella tragedia, ha perso figli, fratelli, amici.
Il 23 maggio 2021, la cabina numero 3 della funivia Stresa–Mottarone precipitò poco dopo mezzogiorno. A bordo c’erano 15 persone: 14 persero la vita, mentre si salvò solo il piccolo Eitan, allora di 5 anni, gravemente ferito.
Quel giorno, per molti, doveva essere il ritorno a una normalità sospesa dalla pandemia. Invece, la rottura della fune traente e il mancato funzionamento dei freni trasformarono una gita in montagna in una strage. Le immagini dei rottami e i soccorsi sul pendio del Mottarone segnarono indelebilmente la memoria collettiva.
Le indagini svelarono presto che i freni erano stati bloccati con i cosiddetti “forchettoni”, dispositivi metallici usati per impedire l’attivazione automatica del sistema di emergenza. Un espediente adottato per evitare blocchi frequenti dell’impianto, che avrebbero comportato disservizi e costi. Una scelta consapevole, che tolse l’ultima possibilità di salvezza ai passeggeri della cabina.
La Procura di Verbania mise sotto accusa il titolare dell’impianto, i responsabili tecnici e, in un secondo momento, anche i vertici della Leitner, la società che aveva curato la costruzione e la manutenzione.
Il primo a confessare fu Gabriele Tadini, capo servizio, che ammise di aver installato i forchettoni e di averli lasciati anche nei giorni precedenti l’incidente. Le sue dichiarazioni chiamarono in causa i superiori e alimentarono l’ipotesi di un comportamento sistematico, tollerato se non addirittura imposto.
Da qui la richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli indagati. Ma con i patteggiamenti accolti e i due proscioglimenti disposti dal GUP, il dibattito processuale non si aprirà mai. Per i familiari delle vittime, che chiedevano verità e trasparenza, resta così un vuoto difficile da colmare.
Il patteggiamento è uno strumento previsto dall’ordinamento italiano: l’imputato ammette la responsabilità, ottiene una pena ridotta e chiude la partita senza affrontare il processo. Una soluzione che consente di alleggerire il carico giudiziario, ma che in casi come questo rischia di apparire come uno sconto insopportabile.
Il fatto che nessuno dei tre imputati finirà in carcere, e che due manager della Leitner siano stati prosciolti, ha sollevato reazioni indignate. La frase di Vincenza Minutella sintetizza un sentimento diffuso: l’idea che il valore della vita delle 14 vittime sia stato ridotto a una manciata di anni, per di più da scontare senza reclusione.
Per le comunità coinvolte, da Stresa a Verbania, fino alle famiglie che hanno perso i loro cari, resta la sensazione che la giustizia si sia fermata troppo presto.
La decisione del GUP chiude formalmente il procedimento penale, ma non mette fine al dolore. Ogni anno, sul Mottarone, le commemorazioni ricordano i nomi delle vittime: famiglie intere spazzate via, bambini e adulti che quel giorno cercavano solo un momento di svago.
L’unico sopravvissuto, Eitan, oggi vive in Israele con la famiglia materna, dopo una battaglia legale che ha aggiunto tensione e dolore a una vicenda già lacerante.
La chiusura anticipata del processo lascia aperte molte domande: sulla sicurezza degli impianti in Italia, sulla gestione delle infrastrutture turistiche, sull’opportunità di sacrificare la manutenzione in nome dei profitti. Domande che non avranno risposta in un’aula di tribunale.
Il Mottarone resta così un simbolo di negligenza trasformata in catastrofe. La decisione dell’udienza preliminare non è definitiva sul piano morale: resta la ferita, resta il ricordo, resta la percezione di una giustizia che, fermandosi al GUP, non ha potuto dispiegarsi in tutta la sua forza. E per i familiari delle vittime, quelle 14 vite restano la misura di una tragedia che nessun patteggiamento potrà mai bilanciare.
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