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Cronaca
10 Settembre 2025 - 18:40
Assolti gli attivisti della Val di Susa: avevano occupato una casa per salvare i migranti (immagine di archivio)
Occupare un edificio abbandonato può costituire reato, ma non quando l’alternativa è lasciare morire persone esposte al gelo e alla fame. Lo ha ribadito il Tribunale di Torino, che ha assolto tredici attivisti imputati per l’occupazione della casa cantoniera di Oulx, ribattezzata “Chez JésOulx”, trasformata a partire dal 2018 in un presidio di accoglienza per migranti in transito verso la Francia.
La decisione, presa dal giudice monocratico Giulia Casalegno, conferma la linea già adottata lo scorso novembre dalla Corte d’Appello, che aveva assolto altri diciannove imputati nel primo filone del processo. In entrambi i casi la giustificazione è la stessa: lo stato di necessità, previsto dall’articolo 54 del Codice penale, secondo cui non può essere punito chi commette un reato per salvare sé o altri da un danno grave alla persona.
Il contesto in cui maturò l’occupazione era caratterizzato da condizioni drammatiche. L’edificio dell’Anas, da anni in disuso lungo la Statale 24, venne riaperto e reso rifugio in un momento in cui le strutture ufficiali non riuscivano a far fronte ai flussi. A Bardonecchia erano disponibili appena due posti letto, mentre il rifugio Massi poteva ospitare solo una ventina di persone e unicamente per la notte. Troppo poco di fronte a centinaia di arrivi quotidiani dalla rotta balcanica.
Le cronache di quegli anni parlano di almeno quindici migranti morti sulle montagne per assideramento, fame o cadute nei dirupi. Le telecamere installate dalla Digos documentarono l’attività quotidiana degli attivisti: distribuzione di cibo e vestiario, cure mediche di base, accoglienza temporanea. Elementi che hanno convinto i giudici a riconoscere la finalità esclusivamente umanitaria della rioccupazione.
Nel processo si era costituita parte civile l’Anas, formalmente titolare dell’edificio, ma la decisione odierna segna un punto fermo: in circostanze eccezionali come quelle dell’alta Valle di Susa, quando le strutture statali non bastano e la vita delle persone è in pericolo, la scelta di aprire uno stabile vuoto non può essere considerata un crimine.
La sentenza aggiunge così un nuovo tassello a una vicenda che negli anni ha assunto valore simbolico, collocando la questione migratoria alpina al centro di un dibattito che intreccia diritto, solidarietà e responsabilità istituzionale.
Tribunale di Torino
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