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Cronaca
07 Settembre 2025 - 19:40
Carceri piemontesi nel caos: tre istituti in tilt, OSAPP denuncia il collasso
Tre notizie drammatiche in poche ore, tre istituti in tilt, un’unica denuncia: il sistema penitenziario piemontese è al collasso. A lanciare l’allarme è l’OSAPP, il sindacato autonomo della Polizia penitenziaria, che ha messo in fila con crudezza episodi e cifre di un’emergenza ormai quotidiana.
Il primo fronte è Cuneo, dove il 4 settembre la sezione “Stura” della casa circondariale è stata teatro di devastazioni. Un detenuto, durante un controllo, ha sradicato infissi, infranto finestre, distrutto arredi e apparecchiature. Pochi minuti dopo, nella stessa sezione, un altro recluso ha scagliato un carrello contro un agente, colpendolo con violenza e procurandogli la frattura di una mano, con trenta giorni di prognosi. Lo stesso detenuto, due giorni più tardi, ha tentato di togliersi la vita impiccandosi con un lenzuolo: solo il pronto intervento degli agenti ha evitato la tragedia. Per l’OSAPP questa sequenza è la fotografia di un carcere ormai fuori controllo. “Il personale lavora esposto a rischi continui. È intollerabile che lo Stato resti a guardare”, ha dichiarato il segretario generale Leo Beneduci, chiedendo rinforzi immediati e persino l’ipotesi estrema del coinvolgimento dell’Esercito.
A Vercelli, il 6 settembre, un agente è stato aggredito dopo aver scoperto un cellulare in possesso di un recluso. L’agente è stato afferrato per il collo, strattonato, scaraventato fuori dalla cella e minacciato con il manico di una scopa. Solo l’intervento del detenuto lavorante ha evitato conseguenze peggiori. Ricoverato in pronto soccorso, il poliziotto ha ricevuto cinque giorni di prognosi. “Siamo oltre l’allarme, siamo nel baratro” ha commentato Beneduci, denunciando l’indifferenza delle istituzioni.
Il terzo caso riguarda Alba, dove tra sabato e domenica si sono registrati disordini a ripetizione: termosifoni divelti e lanciati per le scale, guardiola distrutta, suppellettili devastati, un principio di incendio nella zona passeggi domato in extremis. Per l’OSAPP non si tratta di un episodio isolato ma di “una rivolta annunciata”, l’ennesima dopo i quattro casi segnalati ad agosto. Nel mirino finiscono i dirigenti penitenziari e il Dipartimento, accusati di immobilismo. “È inaccettabile che i danni ricadano sui contribuenti mentre i dirigenti, con stipendi oltre i diecimila euro, restano immobili. Devono pagare di tasca loro”, ha tuonato Beneduci.
Questi tre episodi, consumati in poche ore, sono solo la punta dell’iceberg. Nei tredici istituti della regione – Torino “Lorusso e Cutugno”, Alessandria (casa circondariale e casa di reclusione), Asti, Biella, Cuneo, Ivrea, Novara, Vercelli, Verbania, Alba, Fossano e Saluzzo – i detenuti sono oltre 4.300 a fronte di 3.979 posti disponibili. Il tasso di affollamento è al 122 per cento, superiore alla media nazionale del 115. A Torino mancano più di 450 posti, con sezioni che raggiungono il 160 per cento di riempimento. A Vercelli i detenuti sono il 33 per cento in più della capienza regolamentare. A Saluzzo, addirittura, alcune sezioni arrivano al 350 per cento. Anche istituti come Biella, Novara e Verbania superano costantemente il 100 per cento.
Il sovraffollamento si accompagna al degrado. Le relazioni delle ASL hanno certificato celle con muffe, infiltrazioni, scarafaggi, servizi igienici fuori uso, ambienti inagibili e privi di accessi per disabili. A Torino sono stati segnalati perfino rischi legati alla legionella. A Ivrea la struttura di via Torino è inadeguata da anni: spazi comuni insufficienti, manutenzione assente, interventi straordinari mai avviati nonostante i 166 milioni stanziati a livello nazionale per il sistema penitenziario.
Il diritto alla salute è compromesso. Mancano medici, psicologi e specialisti, visite saltano, terapie si interrompono. In un contesto sovraffollato, malattie come tubercolosi, epatiti e scabbia si diffondono con facilità. Secondo l’Associazione Luca Coscioni, molte carceri piemontesi sono ormai “al limite della vivibilità”.
La sofferenza emerge anche dai numeri: nel 2024 in Piemonte sono stati registrati sette suicidi tra i detenuti, un dato in crescita rispetto agli anni precedenti. I tentativi sventati sono molti di più. A livello nazionale il tasso di suicidi in carcere è venti volte superiore a quello della popolazione libera, e anche tra gli agenti si registrano casi frequenti, segno di una pressione insostenibile.
Gli operatori sono allo stremo. Mancano agenti e figure di supporto come mediatori culturali, psicologi ed educatori. I turni sono massacranti e il personale lavora senza strumenti adeguati. Anche la magistratura di sorveglianza è in sotto organico, con pratiche arretrate e ritardi che aggravano la situazione. A Ivrea gli agenti denunciano da tempo di gestire più detenuti di quanti siano in grado di seguire, con la sicurezza garantita solo dal sacrificio personale.
Sul fronte della rieducazione e del reinserimento, i segnali sono scarsi. Il Ministero della Giustizia ha annunciato tre milioni di euro per finanziare laboratori professionali, ma si tratta di progetti troppo limitati. Le misure alternative coinvolgono un numero ridotto di detenuti e non bastano a incidere sul quadro generale.
Il bilancio è quello di un sistema che rischia di esplodere. Sovraffollamento, degrado strutturale, sanità in crisi, suicidi in aumento, personale insufficiente e rieducazione al palo sono i mali che si alimentano a vicenda. Le carceri piemontesi sono diventate luoghi sempre meno sicuri per chi ci lavora e sempre più disumani per chi ci vive. Lo Stato continua a rimandare interventi strutturali, mentre i sindacati denunciano un collasso ormai conclamato.
Un Paese da terzo mondo (nelle carceri)
Ci raccontano sempre che viviamo in una grande democrazia occidentale, nel Paese della civiltà e dei diritti, patria della Costituzione più bella del mondo. Poi però basta varcare il portone di un carcere per scoprire che siamo al livello di certe galere sudamericane degli anni ’70, ma senza nemmeno il coraggio di ammetterlo. Celle che scoppiano, muffe alle pareti, scarafaggi a passeggio, bagni che non funzionano. E poi suicidi a raffica, risse quotidiane, personale lasciato solo. Altro che rieducazione: il sistema penitenziario italiano – e piemontese in particolare – è la fotografia perfetta di uno Stato che predica bene e razzola peggio.
In Piemonte ci sono tredici istituti che dovrebbero garantire la sicurezza e la dignità, ma funzionano come polveriere pronte a esplodere. Sovraffollamento record, con il carcere di Saluzzo al 350% e quello di Torino con 450 detenuti in più rispetto alla capienza. Una follia che nessun ministro osa guardare in faccia, troppo impegnato a fare proclami sulla “tolleranza zero” o a inventarsi decreti spot. Intanto, nelle sezioni, i detenuti dormono ammassati e gli agenti fanno i miracoli con organici dimezzati.
Poi c’è la sanità penitenziaria, quella barzelletta che dovrebbe garantire il diritto alla cura anche dietro le sbarre. In realtà mancano medici, psicologi, specialisti, e le visite saltano con la stessa regolarità dei treni regionali. Nel carcere di Torino è stata segnalata pure la legionella: roba da terzo mondo, ma nessuno si scandalizza. I fondi per la manutenzione? Annunciati, stanziati, evaporati. In Piemonte non è arrivato praticamente nulla.
E quando qualcuno osa denunciare il disastro, la risposta è sempre la stessa: un comunicato del Ministero, due frasi fatte sul “rispetto delle regole”, e via di nuovo a parlare di altro. È successo con l’OSAPP, che in poche ore ha dovuto raccontare le scene di Cuneo, dove un detenuto ha devastato una sezione e un altro si è fratturato la mano per contenerlo, poi ha tentato il suicidio; di Vercelli, dove un poliziotto è finito in ospedale per un’aggressione; e di Alba, dove termosifoni divelti e incendi hanno trasformato il carcere in una zona di guerra. E che cosa ha fatto lo Stato? Nulla, come sempre.
Il bello è che quando si parla di carceri, la politica si divide in due cori stonati. Da un lato quelli che invocano il pugno di ferro, come se mettere ancora più persone in celle già stracolme potesse risolvere il problema. Dall’altro quelli che fanno i garantisti da salotto, salvo poi dimenticarsi dei diritti di chi sta dentro – detenuti e agenti. Così le carceri rimangono l’ultimo grande tabù: non portano voti, non fanno audience, quindi meglio ignorarle.
Eppure è lì, tra quelle mura, che si misura il grado di civiltà di un Paese. E l’Italia, su questo fronte, è già oltre la soglia del terzo mondo. Ci indigniamo per le prigioni turche, per le carceri egiziane, per i centri di detenzione libici. Ma noi, a casa nostra, non siamo messi molto meglio. Anzi, almeno in certi posti all’estero c’è la sincerità di chiamare le cose col loro nome: lager. Da noi invece continuiamo a raccontarci la favola del Paese civile, mentre il nostro sistema penitenziario si sbriciola sotto il peso delle sue contraddizioni.
La verità è che lo Stato non ha nessuna voglia di affrontare il problema. Non costruisce nuove strutture, non investe in personale, non garantisce la sanità, non promuove davvero la rieducazione. Aspetta che sia troppo tardi, che arrivi la prossima tragedia: un suicidio in più, un’aggressione in più, un incendio in più. E allora, per qualche giorno, si fingerà sorpresa, si convocherà un tavolo, si annunceranno piani straordinari. Poi tornerà il silenzio, fino alla prossima emergenza.
Così vanno le cose nelle carceri italiane: un’emergenza sistemica ignorata da decenni, che non si risolve con slogan ma con scelte serie. Ma in un Paese che preferisce parlare di amnistie fiscali e di condoni edilizi, pensare alla dignità di chi sta dietro le sbarre – detenuti e agenti – è troppo chiedere. Meglio continuare a vantarsi della Costituzione più bella del mondo, tanto i muri scrostati, i suicidi e la legionella non finiscono nei discorsi ufficiali.
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