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06 Settembre 2025 - 12:14
Mara Favro aveva 51 anni
È un addio che pesa più del silenzio: nella cattedrale di San Giusto, a Susa, la bara non c'era. Il manifesto funebre parla a voce bassa e chiara, invitando “tutti coloro che la conobbero e le vollero bene”. A un anno e mezzo dalla scomparsa di Mara Favro e sei mesi dal ritrovamento dei suoi resti nella boscaglia di Gravere, la comunità si stringe in un saluto che è insieme preghiera, memoria e richiesta di verità.
Alle 11, nella cattedrale di San Giusto, Susa ha reso omaggio a Mara Favro, 51 anni, cameriera, residente in corso Inghilterra. E' stata una cerimonia senza bara: le spoglie riposano già nel cimitero di Mompantero, dove la famiglia ha scelto di tumulare la salma dopo il nulla osta rilasciato dalla procura nei mesi scorsi. Una scelta sobria, avvenuta pochi giorni prima della funzione odierna, che separa il rito pubblico dal momento privato del commiato.
Favro era svanita nella notte tra il 7 e l’8 marzo 2024, dopo il turno alla pizzeria “Don Ciccio” di Chiomonte. Il 7 marzo di quest’anno, i resti sono stati rinvenuti nella boscaglia di Gravere, in un dirupo profondo, nei pressi dell’acquedotto. Da quel momento la cronaca si è intrecciata con le domande rimaste aperte: cosa è accaduto davvero a Mara? E perché?
L’autopsia non ha dissipato i dubbi. Le lesioni riscontrate — traumi multipli, fratture al bacino, al femore, alle vertebre e alla scapola — sono compatibili con una morte violenta. Ma non bastano, da sole, a trasformare la compatibilità in certezza. Restano sul tavolo tre ipotesi: caduta accidentale, suicidio, omicidio. È un equilibrio fragile, in cui ogni elemento va pesato con rigore, lontano da scorciatoie narrative.
In procura il fascicolo, affidato a Cesare Parodi, è formalmente aperto per omicidio. Due le persone indagate per omicidio e occultamento di cadavere: Vincenzo Milione, detto “Luca”, gestore del “Don Ciccio”, e Cosimo Esposto, ex pizzaiolo dello stesso locale. Esposto, difeso dall’avvocata Elena Emma Piccatti, ha scelto il basso profilo, lontano dai riflettori. Milione, assistito dall’avvocato Luca Calabrò, ha sempre professato la propria innocenza. È doveroso ricordarlo: lo status di indagato non equivale a colpevolezza. La presunzione di innocenza è un cardine, tanto più in un caso in cui la scienza forense non ha ancora chiuso il cerchio.
La famiglia — rappresentata dall’avvocato Roberto Saraniti — chiede giustizia. Oggi chiede anche rispetto, mentre Susa si ferma per salutare Mara. Un funerale senza bara è un simbolo potente: indica che il tempo del lutto non coincide, ancora, con quello della verità. La città lo sa e si raccoglie attorno a una storia che appartiene a tutti, perché riguarda la fiducia nei luoghi che abitiamo, nelle persone con cui lavoriamo, nelle istituzioni che indagano. E chiama ciascuno alla stessa responsabilità: ricordare senza cedere al clamore, aspettare gli esiti con pazienza, pretendere risposte fondate.
L'avvocato Roberto Saraniti
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