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Cronaca

Parla il padre che ha aggredito il portiere tredicenne del Volpiano: "Pentito, ma volevo solo difendere mio figlio"

L’uomo ammette l’errore e si dice pronto ad affrontare le conseguenze, ma insiste sulla violenza subita dal figlio durante la rissa di Collegno

Parla il padre che ha aggredito il portiere tredicenne del Volpiano: "Pentito, ma volevo solo difendere mio figlio"

Parla il padre che ha aggredito il portiere tredicenne del Volpiano: "Pentito, ma volevo solo difendere mio figlio" (foto: il ragazzo vittima dell'aggressione)

Il caso dell’aggressione di Collegno, avvenuta domenica al termine della partita tra Volpiano Pianese e Csf Carmagnola nell’ambito del torneo giovanile Super Oscar, continua a suscitare polemiche e reazioni. Dopo le condanne delle istituzioni e del mondo dello sport, oggi è lo stesso padre quarantenne che ha colpito a pugni il portiere tredicenne avversario a decidere di parlare.

L’uomo, Mihai, lo ha fatto attraverso la sua avvocata Beatrice Rinaudo, scegliendo di spiegare la propria versione dei fatti e, allo stesso tempo, di esprimere pentimento per quanto accaduto.

Ha riconosciuto che quel gesto ha avuto e continuerà ad avere conseguenze pesanti, non solo per sé stesso ma anche per il figlio. Ha detto di sapere di aver trasmesso un messaggio sbagliato, soprattutto perché un genitore dovrebbe dare l’esempio. Ha aggiunto che la sua reazione rischia di avere ricadute anche sul ragazzo, che dovrebbe vivere lo sport in un clima sereno, senza il peso delle scelte compiute dagli adulti.

Parlando di quanto avvenuto dopo il triplice fischio, ha affermato che, a suo dire, il figlio sarebbe stato aggredito prima dal portiere del Volpiano e poi da altri giocatori, con calci e pugni che definisce «inauditi». Ha spiegato che il ragazzo ha riportato una frattura all’anca sinistra, con sessanta giorni di prognosi, e che come genitore non si sarebbe mai aspettato di dover assistere a una scena simile in un contesto sportivo giovanile.

Le immagini dell'aggressione e il portiere 13enne

Il padre ha raccontato di aver visto il figlio a terra e di aver percepito un’aggressione violenta, non un semplice diverbio sportivo. In quel momento ha agito d’istinto, dice, perché temeva conseguenze gravi e perché – secondo la sua versione – nessun adulto presente in campo si era accorto di ciò che stava succedendo.

Ha ammesso che la sua fu anche una reazione emotiva. Un padre che vede un figlio colpito, ha sostenuto, non ragiona con freddezza. Tuttavia, a distanza di giorni, ha dichiarato che non rifarebbe la stessa cosa e che con il senno di poi avrebbe voluto che fossero arbitri, allenatori e dirigenti a fermare l’aggressione.

Nelle sue parole c’è il riconoscimento di aver dato un messaggio sbagliato. Ha sottolineato che quello che è passato ai ragazzi presenti, e in particolare a suo figlio e ai compagni di squadra, è stato l’esempio che la violenza possa essere risolta con altra violenza. Ha ammesso che non è questo ciò che avrebbe voluto trasmettere, e che se potesse tornare indietro cercherebbe un’altra strada.

Ha raccontato anche un dettaglio della serata dopo l’aggressione: tornando a casa, ha detto al figlio che si dispiaceva per come aveva reagito. Gli ha spiegato che, anche se l’istinto lo aveva portato a intervenire per difenderlo, non era quello l’esempio che avrebbe voluto dargli. Ha aggiunto di avergli ricordato che la violenza va sempre condannata, indipendentemente da chi la commetta, e che un genitore in certe situazioni rischia di perdere la lucidità lasciando prevalere la parte protettiva.

Interpellato sulla possibilità di una denuncia, l’uomo ha ammesso di essere pienamente consapevole di questo rischio. Ha detto di essere pronto ad affrontare le conseguenze del proprio gesto, ma ha chiesto che non venga dimenticata, secondo lui, la causa scatenante: l’aggressione a un ragazzo in un contesto che avrebbe dovuto rimanere solo sportivo e formativo.

Il suo racconto si inserisce in una vicenda che ha già avuto ripercussioni dirette. Le due squadre coinvolte sono state escluse dal torneo e il Comitato organizzatore ha annunciato la promozione di un evento dedicato al fair play e alla non violenza nello sport. Intanto la vicenda giudiziaria prosegue, con le indagini già in corso e con le valutazioni sui reati ipotizzabili a carico dell’uomo.

La vicenda resta un punto di frattura per tutto il movimento del calcio giovanile piemontese. La scelta del padre di parlare pubblicamente, ammettendo di aver sbagliato ma insistendo sul contesto in cui si è trovato ad agire, dimostra quanto la partita di Collegno abbia lasciato una scia difficile da ricomporre. Da una parte resta la condanna per un’aggressione a un tredicenne che ha riportato una frattura al malleolo e segni al volto, dall’altra la versione di un genitore che parla di una reazione sproporzionata ma nata dalla paura di vedere il proprio figlio vittima di violenza.

A distanza di giorni, resta il messaggio di fondo: la necessità di riflettere sul ruolo degli adulti e sulla capacità — o incapacità — di mantenere la lucidità in un contesto che dovrebbe rimanere educativo. L’uomo ha detto di aver imparato, a sue spese, che non ci si può sostituire alle regole dello sport e che nessuna ragione può giustificare la violenza. Ma al tempo stesso ha chiesto che non venga dimenticato, a suo avviso, da dove tutto è partito.

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